A conclusione del primo dei tre dibattiti televisivi fra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, il vincitore non si trova, perché un vero vincitore non c'è.

C'è uno sconfitto ed è Trump, che, rispettando le previsioni della vigilia, non è adatto a dibattiti di questo tipo. La spontaneità nell'affrontare le platee, che lui ritiene di essere uno dei suoi pregi maggiori, il suo rifugiarsi in qualche battuta capace di suscitare l'ilarità del pubblico sono armi spuntate in occasioni come questa. Hanno funzionato davanti ai suoi sostenitori durante il tour elettorale, ma di fronte ad un'audience di indecisi, con un avversario che sciorina dati e fatti e replica puntualmente ad ogni affermazione, si sono dimostrate poco efficaci.

Come ci si aspettava, per Trump è stato impossibile rimanere concentrato per tutti i 90 minuti e ha finito per perdere la sua compostezza, vittima della strategia di Hillary, accuratamente studiata a tavolino per innervosirlo.

Pur se il suo rivale è uscito sconfitto, la Clinton non può cantar vittoria. Non è riuscita a bucare lo schermo, ha ecceduto in senso opposto rispetto a Trump. Troppo preparata, troppo fredda, troppo calcolatrice, perfino opportunista come è stata accusata di essere nei suoi 30 anni di carriera politica, pur con ruoli molti diversi. Troppo integrata nell'establishment politico di Washington, un'accusa che il suo avversario le ha costantemente rivolto in campagna elettorale e non ha mancato di farlo anche ieri sera. Troppo legata ad Obama, troppo parte di un sistema che ha ridotto gli Stati Uniti alla condizione attuale, creando profonda insoddisfazione.

Anche gli argomenti sollevati da una parte e dall'altra sono stati quelli che ci si attendeva.

Per Trump era inevitabile che non si tornasse sulla mancata pubblicazione della sua dichiarazione dei redditi, da lui attribuita alla impossibilità di farlo ora che è in corso un auditing. La Clinton lo ha accusato di non pagare le tasse e di trovare ogni scusa per non farlo sapere. Il tycoon se n'è uscito con una battuta ("Vorrebbe dire che sono intelligente!"), che non ha certo contribuito a convincere gli indecisi.

Altro tema caldo, l'accusa rivolta ad Obama di non essere nato negli Stati Uniti, che molti afroamericani ritengono offensiva e razzista. Trump ha sostenuto che a sollevarla fu la Clinton, nel 2008, durante le primarie democratiche che la videro contrapposta ad Obama. Un membro dello staff dell'ex-segretario di Stato, Sidney Blumenthal, avrebbe mandato addirittura un reporter in Kenya per raccogliere le prove. Trump si è perfino assunto il merito di esser stato lui a porre fine alla questione, pretendendo che Obama rendesse pubblico il suo certificato di nascita, cosa che puntualmente fece.

Sul tema del razzismo, Hillary ha portato un affondo che ha colpito nel segno, quando ha ricordato che nel 1973 una delle immobiliari di Trump fu portata in tribunale per essersi rifiutata di affittare a persone di colore.

Un altro punto la Clinton lo ha conquistato imputando al suo rivale di aver sostenuto in passato che i cambiamenti climatici sono un'invenzione della Cina, per rendere gli Stati Uniti meno concorrenziali. Trump ha negato di averlo mai detto, ma un Tweet del 2012 lo smentisce.

Già all'inizio della serata, Trump si è affrettato a mettere sul tavolo la questione dei trattati di libero commercio, che, secondo lui, sono responsabili della perdita di posti lavoro e dell'indebolimento dell'economia statunitense. Ha accusato la sua rivale di aver sostenuto quello con i paesi nordamericani (il Nafta, firmato dal marito) e quello attualmente in discussione con l'Europa (TTIP). Accuse fondate, anche se durante la campagna elettorale la Clinton ha aggiustato il tiro.

E' un argomento questo che potrebbe essere decisivo per la vittoria in alcuni stati, come l'Ohio e il Michigan, dove il Nafta ha causato una vera e propria desertificazione industriale, con molte aziende trasferitesi in Messico, dove il costo della manodopera è significativamente più basso.

Non poteva non essere tirata in ballo il mancato rispetto dei criteri di sicurezza nel trasferimento di email riservate del Dipartimento di Stato su un server privato da parte della Clinton, che lo ha definito un errore. Per Trump si sarebbe trattato di molto più di un semplice errore, come dimostrerebbero i testimoni chiamati a deporre, che per evitare un'incriminazione hanno fatto ricorso al quinto emendamento, quello che impedisce che una persona sia costretta a testimoniare contro se stessa.

Trump è stato accusato anche di sessismo, per avere nel 1996 chiamato "Miss Piggy" e "Miss Faccende" una reginetta di bellezza venezuelana. A conferma è subito uscito in rete un video, sicuramente già preparato dallo staff della candidata democratica.

Vedremo nei prossimi giorni quali saranno stati gli effetti del dibattito sui sondaggi e se il dibattito ha davvero contribuito ad orientare gli indecisi o almeno una parte di loro. Il prossimo appuntamento è per il 9 ottobre a Saint Louis e il successivo a Las Vegas il 19 dello stesso mese.