Oggi, il Corriere ha pubblicato in esclusiva un articolo con una notizia che, se confermata, solleverebbe più che dei dubbi sulla sentenza che, in via definitiva, ha condannato Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l'assassinio della fidanzata Chiara Poggi.

Si tratta del delitto di Garlasco che ha alimentato la cronaca dei media per anni, a partire da quel 13 agosto 2007. Dopo l'arresto e le sentenze che non erano riuscite a dimostrare la sua colpevolezza, Stasi è stato alla fine riconosciuto colpevole e sta scontando la sua pena nel carcere di Opera.

Ma chi ha seguito, anche di sfuggita, la vicenda giudiziaria, non ha potuto fare a meno di valutare l'operato degli investigatori prima e dei giudici poi come di coloro che, più che ricercare la verità, abbiano in tutti i modi ricercato un colpevole. E, come spesso avviene in questi casi, potrebbe essere pure quello sbagliato!

L'omicidio di Chiara Poggi fu denunciato dallo stesso Alberto Stasi. I rapporti tra i due erano più che perfetti. La sera prima erano stati a cena assieme e stavano progettando di partire per le vacanze entro pochi giorni. Il giorno successivo, dopo aver chiamato Chiara più volte in mattinata, ma inutilmente, Alberto va a casa sua, ma la trova morta.

Gli inquirenti, oltre a non riuscire a dare una motivazione logica e credibile del delitto, ritengono Stasi colpevole anche perché non avrebbe lasciato impronte delle sue scarpe sulla scena del delitto. Per chi lo ha giudicato, è impossibile che ciò possa essere accaduto casualmente. Stasi avrebbe cercato di occultare delle prove. A dire il vero non è ben chiaro quali, visto che è stato lo stesso Stati a denunciare il delitto, dopo aver visto il corpo della ragazza.

Durante l'inchiesta, sotto le unghie di Chiara Poggi furono trovate delle tracce organiche che l'esame del DNA aveva identificato come appartenenti ad un maschio, senza però essere in grado di effetuarne una corretta attribuzione.

Adesso, un perito incaricato dalla famiglia, esaminando il DNA di una persona acquisito da degli investigatori privati tramite una bottiglietta ed un cucchiaino, senza conoscerne l'origine sarebbe riuscito a stabilirne una corrispondenza con il DNA trovato sotto due unghie di Chiara, dimostrando così che non apparterrebbe a Stasi. La ragazza, tra l'altro, prima di conoscere e fidanzarsi con Stasi aveva un altro giro di amicizie e la persona da cui proviene quel DNA - di cui non è stato fatto il nome, ma che era a Garlasco la sera precedente l'omicidio - apparteneva a quella cerchia.

Adesso la famiglia Stasi e i legali si attiveranno per far riaprire le indagini ed avviare un nuovo processo.

Ma, al di là della vicenda in sé, ritorna sempre più d'attualità il dubbio di come in Italia vengano svolte le indagini e valutate le prove. Sono ormai molti i casi in cui le valutazioni dei giudici non hanno dato l'impressione che la condanna potesse essere comminata al di là di qualsiasi dubbio. Da ricordare in proposito, ad esempio, i casi Scattone e Ferraro oppure quello più recente di Rudy Guede.

Tra i molti problemi associati alla giustizia, anche quello relativo al metodo e al merito della valutazione delle prove nel processo penale dovrebbe senz'altro essere rivisto.