«Oggi, carissimo papa Francesco, lei riconsegna due grandi preti del '900 alle loro Chiese. Ci aiuti a non aver paura di ascoltarli e seguirli».  Con queste parole il vescovo di Cremona monsignor Antonio Napolioni si è rivolto a papa Francesco dopo la preghiera privata sulla tomba di don Primo Mazzolari nella sua visita odierna che continuerà più tardi a Barbiana.
Nell'occasione, il vescovo ha annunciato che il prossimo 18 settembre si aprirà ufficialmente il processo diocesano per la beatificazione del servo di Dio don Primo Mazzolari.

«Oggi sono pellegrino qui a Bozzolo e poi a Barbiana, sulle orme di due parroci che hanno lasciato una traccia luminosa, per quanto scomoda, nel loro servizio al Signore e al popolo di Dio. Ho detto più volte che i parroci sono la forza della Chiesa in Italia. - Così ha iniziato il suo discorso papa Francesco. - Don Primo Mazzolari è stato definito il parroco d’Italia; e San Giovanni XXIII lo ha salutato come la tromba dello Spirito Santo nella Bassa padana.»

Il Papa non ha voluto riproporre le opere di Don Mazzolari, ma il suo messaggio «che pongo simbolicamente sullo sfondo di tre scenari - ha proseguito Francesco - che ogni giorno riempivano i suoi occhi e il suo cuore: il fiume, la cascina e la pianura.

Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata.

Don Primo ha svolto il suo ministero lungo i fiumi, simboli del primato e della potenza della grazia di Dio che scorre incessantemente verso il mondo. La sua parola, predicata o scritta, attingeva chiarezza di pensiero e forza persuasiva alla fonte della Parola del Dio vivo, nel Vangelo meditato e pregato, ritrovato nel Crocifisso e negli uomini, celebrato in gesti sacramentali mai ridotti a puro rito.

Don Mazzolari, parroco a Cicognara e a Bozzolo, non si è tenuto al riparo dal fiume della vita, dalla sofferenza della sua gente, che lo ha plasmato come pastore schietto ed esigente, anzitutto con sé stesso. Lungo il fiume imparava a ricevere ogni giorno il dono della verità e dell’amore, per farsene portatore forte e generoso. La sua profezia si realizzava nell’amare il proprio tempo, nel legarsi alla vita delle persone che incontrava, nel cogliere ogni possibilità di annunciare la misericordia di Dio.»

«Ci sono tre strade che non conducono nella direzione evangelica. La strada del lasciar fare. E’ quella di chi sta alla finestra a guardare senza sporcarsi le mani - quel balconear la vita -. Ci si accontenta di criticare, di descrivere con compiacimento amaro e altezzoso gli errori del mondo intorno. Questo atteggiamento mette la coscienza a posto, ma non ha nulla di cristiano.

Il secondo metodo sbagliato è quello dell’attivismo separatista. Ci si impegna a creare istituzioni cattoliche (banche, cooperative, circoli, sindacati, scuole...). Così la fede si fa più operosa, ma – avvertiva Mazzolari – può generare una comunità cristiana elitaria. Si favoriscono interessi e clientele con un’etichetta cattolica. E, senza volerlo, si costruiscono barriere che rischiano di diventare insormontabili all’emergere della domanda di fede. Si tende ad affermare ciò che divide rispetto a quello che unisce. E’ un metodo che non facilita l’evangelizzazione.

- Il terzo errore è il soprannaturalismo disumanizzante. Ci si rifugia nel religioso per aggirare le difficoltà e le delusioni che si incontrano. Ci si estranea dal mondo, vero campo dell’apostolato, per preferire devozioni. E’ la tentazione dello spiritualismo. Ne deriva un apostolato fiacco, senza amore. I lontani non si possono interessare con una preghiera che non diviene carità, con una processione che non aiuta a portare le croci dell’ora. Il dramma si consuma in questa distanza tra la fede e la vita, tra la contemplazione e l’azione.»

Il Papa ha poi illustrato il secondo scenario, quello della cascina. «Al tempo di don Primo, era una famiglia di famiglie, che vivevano insieme in queste fertili campagne, anche soffrendo miserie e ingiustizie, in attesa di un cambiamento, che è poi sfociato nell’esodo verso le città. La cascina, la casa, ci dicono l’idea di Chiesa che guidava don Mazzolari. Anche lui pensava a una Chiesa in uscita, quando meditava per i sacerdoti con queste parole: "Per camminare bisogna uscire di casa e di Chiesa, se il popolo di Dio non ci viene più; e occuparsi e preoccuparsi anche di quei bisogni che, pur non essendo spirituali, sono bisogni umani e, come possono perdere l’uomo, lo possono anche salvare. Il cristiano si è staccato dall’uomo, e il nostro parlare non può essere capito se prima non lo introduciamo per questa via, che pare la più lontana ed è la più sicura."

Così diceva il vostro parroco. La parrocchia è il luogo dove ogni uomo si sente atteso, un "focolare che non conosce assenze». Don Mazzolari è stato un parroco convinto che «i destini del mondo si maturano in periferia", e ha fatto della propria umanità uno strumento della misericordia di Dio, alla maniera del padre della parabola evangelica, così ben descritta nel libro "La più bella avventura". Egli è stato giustamente definito il parroco dei lontani, perché li ha sempre amati e cercati, si è preoccupato non di definire a tavolino un metodo di apostolato valido per tutti e per sempre, ma di proporre il discernimento come via per interpretare l’animo di ogni uomo. Questo sguardo misericordioso ed evangelico sull’umanità lo ha portato a dare valore anche alla necessaria gradualità: il prete non è uno che esige la perfezione, ma che aiuta ciascuno a dare il meglio. "Accontentiamoci di ciò che possono dare le nostre popolazioni. Abbiamo del buon senso! Non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente". E se, per queste aperture, veniva richiamato all’obbedienza, la viveva in piedi, da adulto, da uomo, e contemporaneamente in ginocchio, baciando la mano del suo Vescovo, che non smetteva di amare.»

Il terzo scenario richiamato dal Papa è quello della grande pianura. «Alla carità pastorale di don Primo si aprivano diversi orizzonti, nelle complesse situazioni che ha dovuto affrontare: le guerre, i totalitarismi, gli scontri fratricidi, la fatica della democrazia in gestazione, la miseria della sua gente. Vi incoraggio, fratelli sacerdoti, ad ascoltare il mondo, chi vive e opera in esso, per farvi carico di ogni domanda di senso e di speranza, senza temere di attraversare deserti e zone d’ombra. Così possiamo diventare Chiesa povera per e con i poveri, la Chiesa di Gesù.
Quella dei poveri è definita da don Primo un’esistenza scomodante, e la Chiesa ha bisogno di convertirsi al riconoscimento della loro vita per amarli così come sono: "I poveri vanno amati come poveri, cioè come sono, senza far calcoli sulla loro povertà, senza pretesa o diritto di ipoteca, neanche quella di farli cittadini del regno dei cieli, molto meno dei proseliti".

Lui non faceva proselitismo, perché questo non è cristiano. Papa Benedetto XVI ci ha detto che la Chiesa, il cristianesimo, non cresce per proselitismo, ma per attrazione, cioè per testimonianza. E’ quello che don Primo Mazzolari ha fatto: testimonianza. Il Servo di Dio ha vissuto da prete povero, non da povero prete. Nel suo testamento spirituale scriveva: "Intorno al mio Altare come intorno alla mia casa e al mio lavoro non ci fu mai suon di denaro. Il poco che è passato nelle mie mani […] è andato dove doveva andare. Se potessi avere un rammarico su questo punto, riguarderebbe i miei poveri e le opere della parrocchia che avrei potuto aiutare largamente". ... "Chi conosce il povero, conosce il fratello: chi vede il fratello vede Cristo, chi vede Cristo vede la vita e la sua vera poesia, perché la carità è la poesia del cielo portata sulla terra".»

Papa Francesco ha concluso il suo discorso a Bozzolo, indicando Don Mazzolari, come «modello di spiritualità di grande attualità, valido per l’oggi».

 

Il suo pellegrinaggio è proseguito poi a Barbiana, dove è giunto poco dopo le 11 ed è stato accolto dall'arcivescovo di Firenze, il cardinal Giuseppe Betori e dal sindaco di Vicchio, Roberto Izzo, pregando prima sulla tomba di Don Milani e visitando poi i luoghi in cui ha vissuto e svolto la sua opera sacerdotale.

Nel suo saluto al Papa, il cardinal Betori ha messo "le mani avanti" cercando di levigare i rapporti non certo idilliaci di Don Milani con la curia e la gerarchia del suo tempo: «Siamo ben consapevoli che la figura e la vicenda di don Lorenzo Milani vanno liberate da ogni retorica, non vanno minimizzate, vanno sottratte a strumentazioni ideologiche, difendendone invece la permanente e feconda provocazione. Non cerchiamo in lui un esempio da imitare – cosa che lui ha sempre sfuggito – ma vorremmo ripensare le ragioni per cui non fu compreso nei suoi giorni e per cui può ancora illuminare la dedizione di tutti, in particolare dei preti, al Vangelo, alla Chiesa e ai poveri, nel nostro tempo.»

La risposta alle parole di Betori è arrivata subito nelle prime parole del Papa: «A tutti voglio ricordare che la dimensione sacerdotale di don Lorenzo Milani è alla radice di tutto quanto sono andato rievocando finora di lui.

Vedo tra voi preti anziani, che avete condiviso con don Lorenzo Milani gli anni del seminario o il ministero in luoghi qui vicini; e anche preti giovani, che rappresentano il futuro del clero fiorentino e italiano. Alcuni di voi siete dunque testimoni dell’avventura umana e sacerdotale di don Lorenzo, altri ne siete eredi.

In don Milani, tutto nasce dal suo essere prete. Ma, a sua volta, il suo essere prete ha una radice ancora più profonda: la sua fede. Una fede totalizzante, che diventa un donarsi completamente al Signore e che nel ministero sacerdotale trova la forma piena e compiuta per il giovane convertito.

Di qui l’attualità delle parole di don Raffaele Bensi, sua guida spirituale: "Per salvare l’anima venne da me. Da quel giorno d’agosto fino all’autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l’assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire".

A conferma del concetto, il Papa ha citato le parole della mamma di don Lorenzo, Alice: "Mio figlio era in cerca dell’Assoluto. Lo ha trovato nella religione e nella vocazione sacerdotale".

«Senza questa sete di Assoluto si può essere dei buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti, preti veri, capaci di diventare servitori di Cristo nei fratelli. Cari preti, con la grazia di Dio cerchiamo di essere uomini di fede, una fede schietta, non annacquata; e uomini di carità, carità pastorale verso tutti coloro che il Signore ci affida come fratelli e figli.

Don Lorenzo ci insegna anche a voler bene alla Chiesa, come le volle bene lui, con la schiettezza e la verità che possono creare anche tensioni, ma mai fratture, abbandoni. Amiamo la Chiesa, cari confratelli, e facciamola amare, mostrandola come madre premurosa di tutti, soprattutto dei più poveri e fragili, sia nella vita sociale sia in quella personale e religiosa. La Chiesa che don Milani ha mostrato al mondo ha questo volto materno e premuroso, proteso a dare a tutti la possibilità di incontrare Dio e quindi dare consistenza alla propria persona in tutta la sua dignità.

Il Papa ha poi ricordato il ruolo di educatore di Don Milani, sottolineandone l'appello alla responsabilità. Agli ex allievi di Don Milani presenti, Papa Francesco ha detto: «Voi siete i testimoni di come un prete abbia vissuto la sua missione, nei luoghi in cui la Chiesa lo ha chiamato, con piena fedeltà al Vangelo e proprio per questo con piena fedeltà a ciascuno di voi, che il Signore gli aveva affidato. E siete testimoni della sua passione educativa, del suo intento di risvegliare nelle persone l’umano per aprirle al divino.

Di qui il suo dedicarsi completamente alla scuola, con una scelta che qui a Barbiana egli attuerà in maniera ancora più radicale. La scuola, per don Lorenzo, non era una cosa diversa rispetto alla sua missione di prete, ma il modo concreto con cui svolgere quella missione, dandole un fondamento solido e capace di innalzare fino al cielo. E quando la decisione del vescovo lo condusse da Calenzano a qui, tra i ragazzi di Barbiana, capì subito che se il Signore aveva permesso quel distacco era per dargli dei nuovi figli da far crescere e da amare.»

La visita di papa Francesco a Barbiana si è conclusa con un omaggio a Don Milani: «In una lettera al vescovo – ha detto Francesco nell’unico momento pubblico della visita, sul prato adiacente alla chiesa – scrisse: "Se lei non mi onora oggi con un qualsiasi atto solenne, tutto il mio apostolato apparirà come un fatto privato…".

Dal card. Silvano Piovanelli, di cara memoria, in poi gli arcivescovi di Firenze hanno in diverse occasioni dato questo riconoscimento a don Lorenzo. Oggi lo fa il Vescovo di Roma. Ciò non cancella le amarezze che hanno accompagnato la vita di don Milani – non si tratta di cancellare la storia o di negarla, bensì di comprenderne circostanze e umanità in gioco –, ma dice che la Chiesa riconosce in quella vita un modo esemplare di servire il Vangelo, i poveri e la Chiesa stessa.

Con la mia presenza a Barbiana, con la preghiera sulla tomba di don Lorenzo Milani penso di dare risposta a quanto auspicava sua madre: "Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui… quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire ma che gli ha dato il sacerdozio, e la forza di quella fede che resta, per me, il mistero più profondo di mio figlio… Se non si comprenderà realmente il sacerdote che don Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche tutto il resto. Per esempio il suo profondo equilibrio fra durezza e carità".

Il prete trasparente e duro come un diamante - ha concluso il Papa - continua a trasmettere la luce di Dio sul cammino della Chiesa. Prendete la fiaccola e portatela avanti.»

E tale invito vale anche per il Papa stesso, che ha proseguito dicendo: «Anche io prenda l’esempio di questo bravo prete