Risultato sorprendente in Colombia del referendum tenutosi per l'approvazione di uno storico accordo di pace fra il governo e le FARC, le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, che avrebbe messo fine a 52 anni di guerra civile.

L'accordo è stato respinto dal 50,21% dei votanti (6,4 milioni). Sorprendente è stata anche la scarsissima partecipazione al voto, con solo il 37% degli aventi diritto che si è recata alle urne. In pratica, per quasi due terzi della popolazione è del tutto indifferente se in quello che è uno dei più grossi paesi dell'America latina regnerà la pace o continuerà un conflitto che, fino ad oggi, ha visto 260 mila morti e sette milioni di sfollati.

Il quesito non era certo espresso in modo neutrale, ma chiaramente inteso a orientare verso un sì:

"Approvate l'accordo finale per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura?"

No, è stata la risposta che ha lasciato l'intero paese in stato di shock, sia i vincitori per l'inaspettato successo, sia gli sconfitti che non riuscivano a farsene una ragione.

Alla vigilia del referendum, tutti i sondaggi davano la maggioranza dei due terzi favorevole all'approvazione dell'accordo fra i ribelli comunisti e il governo, dopo quattro anni di negoziati, firmato a L'Avana lunedì scorso fra il presidente Santos (a sin. nella foto) e il capo dei guerriglieri Londoño (a destra), con la mediazione di Raúl Castro (al centro).

Il punto centrale dell'accordo è un'amnistia generalizzata per tutti i crimini di natura politica, mentre delitti contro l'umanità e gravi crimini di guerra saranno puniti con condanne comprese fra i cinque e gli otto anni, se i responsabili ammettono la loro colpevolezza e i familiari delle vittime vengono risarciti. La pena non sarà scontata in carcere, ma con una sorta di lavori socialmente utili. E, forse, proprio le pene troppo lievi hanno indotto molti a votare no.

Inoltre, è previsto un periodo di transizione durante il quale alle FARC, che diventerebbero un partito politico, saranno garantiti posti in parlamento (cinque deputati e cinque senatori), anche nel caso di mancato raggiungimento della soglia minima del 3%.

A questo si è detto particolarmente contrario il Centro Democratico, partito di destra guidato dall'ex-presidente Álvaro Uribe, secondo il quale la democrazia non si rafforza se le FARC, responsabili di massacri e di traffico di droga, sono premiate con posti in parlamento e amnistia.

Non si sa bene ora cosa potrà accadere. I circa 7000 ribelli si sono già ritirati nelle zone previste dall'accordo e oggi avrebbero dovuto cominciare a consegnare le armi, sotto la supervisione di osservatori dell'Onu.

Rodrigo Londoño, a capo dei guerriglieri con il nome di Timochenko, nonostante l'esito del referendum, ha confermato che le FARC non faranno più ricorso alle armi, ma ha escluso nuovi negoziati.

Il presidente colombiano Juan Manuel Santos, da parte sua, ha detto di non voler abbandonare il piano di pace e ha invitato tutte le forze politiche intorno a un tavolo per discutere sul da farsi. Certo, per arrivare ad un accordo, saranno necessarie delle concessioni alla destra, decisa a non concedere l'immunità ai ribelli.