Lo scorso fine settimana, il capo di Stato Maggiore dell'esercito iraniano ha discusso ad Ankara con i vertici dell'esercito turco sulla possibilità di un'azione militare congiunta contro i gruppi dei militanti curdi. Lo ha reso noto lunedì lo stesso dittatore turco, anche se il nome ufficiale della carica che ricopre è presidente, Tayyip Erdogan prima di partire in una visita ufficiale in Giordania.

Trovando un'intesa con l'Iran, Erdogan ha ipotizzato che, in questo modo, sarebbe stata possibile una lotta più efficace contro il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) e il suo affiliato iraniano PJAK.

Per Turchia e Iran, PKK e PJAK non sono altro che pure e semplici formazioni terroristiche da combattere ed eliminare.

Il rinnovato interesse di Erdogan per i curdi è dovuto alle preoccupazioni per i futuri assetti geopolitici relativi al nord della Siria, dove i curdi dell'YPG, il braccio armato del Partito Democratico Curdo (PYD), guidano l'assalto a Raqqa capitale dello stato Islamico in Siria, ultima roccaforte in mano al califfato nero, con l'aiuto degli Stati Uniti.

Il timore di Ankara è che i curdi, dopo aver conquistato Raqqa, possano riunire un territorio che in Siria li vede già occupare la regione nordorientale e quella nordoccidentale dell'Afrin. Diventerebbe di fatto uno Stato al confine meridionale della Turchia. Inutile sottolineare che per Erdogan anche l'YPG è una formazione terroristica al pari del PKK.

Con queste premesse, è facile ipotizzare che anche dopo una sconfitta dell'Isis, la guerra in Siria difficilmente potrà fermarsi, anche solo per discutere un trattato di pace. Cambieranno contendenti e motivi, ma si continuerà a combattere.