E' uscito oggi sul quotidiano inglese Guardian, in vista del referendum che si terrà il prossimo 23 giugno, un articolo molto interessante del capo redattore per l'economia, Larry Elliott, che analizza lo stato dell'Unione Europea.

Purtroppo in Italia non ci è dato di decidere sulla opportunità di rimanere o uscire dall'Europa, ma alcune considerazioni di Elliott possono servirci a capire meglio cosa significa farne parte.

Secondo Elliott probabilmente non ci sarà la tanto da alcuni temuta Brexit e la Gran Bretagna rimarrà nella UE. Sembra che i sondaggi, che hanno visto fino ad oggi una maggioranza dei contrari alla permanenza, stiano cambiando a seguito della campagna molto aggressiva di quanti sono favorevoli.

Ad incidere in modo significativo saranno probabilmente anche le dichiarazione del governatore della Banca d'Inghilterra, Mark Carney, che ha messo in guardia il paese dalle possibili conseguenze negative della Brexit.

Carney ha ipotizzato un possibile attacco alla sterlina e grosse difficoltà nel finanziare un aumento del deficit della bilancia dei pagamenti. Secondo il governatore, l'economia crescerebbe a ritmi più bassi e si registrerebbe un incremento dell'inflazione. Queste considerazioni, provenienti da una fonte così autorevole, potrebbero convincere gli inglesi a rimanere.

Ma la Brexit, secondo l'estensore dell'articolo, rimarrà comunque sempre un argomento di stretta attualità, finché l'eurozona non risolverà i suoi problemi.

Sarà necessario riconoscere che l'adozione della moneta unica è stato un terribile sbaglio oppure decidersi ad una completa integrazione monetaria, con un unico sistema bancario, un ministero del Tesoro europeo ed un ministro delle Finanze democraticamente eletto, che abbia il potere di raccogliere fondi in Germania e spenderli magari in Grecia.

Ma, sostiene Elliott, questo non accadrà certo a breve e, forse, non accadrà mai. I paesi dell'euro, al momento dell'introduzione della moneta unica, hanno demandato alla UE molti dei loro poteri di intervento sull'economia, ma hanno conservato il diritto di decidere sull'imposizione fiscale e i livelli di spesa.

Elliott, che ha avuto modo di approfondire la crisi greca per un libro di prossima pubblicazione, ritiene che quanto è accaduto in Grecia sia solo un antipasto di quanto potrà accadere in futuro e di cui già si vedono le avvisaglie.

Cita l'Italia, dove l'economia è cresciuta pochissimo dal momento dell'ingresso nell'euro, e la Francia, dove la disoccupazione è doppia rispetto agli Usa ed al Regno Unito. Le cose non vanno meglio in Finlandia, uno dei paesi più tecnologici, dove si registra una contrazione dell'economia del 7% dall'inizio della crisi finanziaria, ed anche in Germania, dove il boom delle esportazioni e la crescita dei profitti delle grosse aziende sono avvenuti alle spalle dei lavoratori, i cui salari sono cresciuti al di sotto del tasso di inflazione.

L'articolo ricorda quanto detto dal leader laborista e più volte ministro, Tony Benn, in occasione di un precedente referendum sulla permanenza nella UE. Benn affermò che, aderendo all'Europa, la Gran Bretagna entrava in un sistema anti-democratico, deflazionistico e gestito nell'interesse delle grosse corporazioni. Solo il Cremlino dell'epoca, secondo Benn, deteneva così tanto potere, senza doverne rendere conto a nessuno. Non si può negare che Benn aveva visto giusto, anche alla luce del modo in cui l'attuale Commissione Europea prende le sue decisioni.

I cosiddetti padri fondatori volevano un'Europa unita che fosse una versione migliorata degli Stati Uniti, di cui andavano riproposte le cose positive, come il dinamismo economico, un grande mercato, libero da ostacoli, e la moneta unica, e rigettate quelle negative, quali le forti diseguaglianze, il gran numero di detenzioni, la povertà ed un sistema assistenziale inadeguato.

In realtà, oggi si registra una politica economica deflazionistica, con gli interessi delle banche che prevalgono su quelli dei lavoratori. Paesi come la Grecia, l'Irlanda, il Portogallo, Cipro e la Spagna sono stati le cavie di un esperimento neoliberista continentale, che neanche i repubblicani del Tea Party osano sognarsi.

Considerato il livello osceno (sic!) che ha raggiunto la disoccupazione, l'idea che l'Europa possa garantire il diritto al lavoro è semplicemente ridicola. Il gap fra l'economia americana e quella europea si è allargato dall'adozione della moneta unica e i partiti populisti stanno acquistando sempre più consensi in tutto il continente. Con l'attuale livello di disoccupazione, un'eventuale nuova crisi economica potrebbe significare il ritorno di regimi totalitari, come accadde negli anni 30 del secolo scorso.

E' necessaria una nuova Europa, conclude Elliott. Ma è difficile ipotizzare che l'Europa della Grecia e del TTIP possa diventare un America dal volto buono. L'eurozona è economicamente moribonda, insiste ad adottare politiche che si sono rivelate fallimentari, è indifferente alla democrazia, è gestita da un ristretta élite, completamente autoreferenziale, e sta lentamente spegnendosi. Questa non è l'America senza la sedia elettrica, è l'Unione Sovietica senza gulag.