La procedura che la Gran Bretagna dovrà seguire per uscire dall'Unione Europea è regolata dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona del 2007, che così recita:

1. Ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall'Unione.

2. Lo Stato membro che decide di recedere notifica tale intenzione al Consiglio europeo. Alla luce degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, l'Unione negozia e conclude con tale Stato un accordo volto a definire le modalità del recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione. L'accordo è negoziato conformemente all'articolo 218, paragrafo 3 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Esso è concluso a nome dell'Unione dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata previa approvazione del Parlamento europeo.

3. I trattati cessano di essere applicabili allo Stato interessato a decorrere dalla data di entrata in vigore dell'accordo di recesso o, in mancanza di tale accordo, due anni dopo la notifica di cui al
paragrafo 2, salvo che il Consiglio europeo, d'intesa con lo Stato membro interessato, decida all'unanimità di prorogare tale termine.

4. Ai fini dei paragrafi 2 e 3, il membro del Consiglio europeo e del Consiglio che rappresenta lo Stato membro che recede non partecipa né alle deliberazioni né alle decisioni del Consiglio europeo e del Consiglio che lo riguardano. Per maggioranza qualificata s'intende quella definita conformemente all'articolo 238, paragrafo 3, lettera b) del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

5. Se lo Stato che ha receduto dall'Unione chiede di aderirvi nuovamente, tale richiesta è oggetto della procedura di cui all'articolo 49.

Un articolo tutto sommato molto breve e anche molto vago, forse volutamente. Del resto quando fu redatto il trattato si pensava che una tale eventualità non si sarebbe mai presentata e, in ogni caso, sempre meglio riservarsi ampi margini discrezionali.

L'aspetto fondamentale dell'articolo riguarda i negoziati fra il paese che intende recedere e l'Unione Europea per definire i nuovi rapporti bilaterali, relativi agli scambi commerciali, alla circolazione di persone e merci, ecc.

Tutto questo deve avvenire rigorosamente nell'arco di un massimo di due anni, a meno che il Consiglio europeo non intenda concedere una proroga. Trascorso questo periodo, che gli accordi siano stati raggiunti o meno, il paese richiedente viene formalmente escluso dall'unione.

Da notare che i due anni iniziano a decorrere dal momento in cui il paese che intende recedere notifica formalmente la sua intenzione alla UE.

 

E qui cominciano i primi contrasti. David Cameron ha già detto che intende aspettare che il congresso conservatore del prossimo ottobre designi il suo successore alla guida del partito. Toccherà a lui notificare l'uscita del Regno Unito alla UE e gestire le trattative.

Il leader laburista, Jeremy Corbin, ha invece sollecitato una risposta rapida alle richieste della maggioranza dei britannici e, quindi, una notifica immediata.

Nella stessa direzione spingono anche i vertici dell'unione, fra cui il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, allo scopo di evitare un lungo periodo di incertezza, che avrebbe un impatto negativo sui mercati finanziari e sull'economia in generale.

Un grosso problema saranno anche i negoziati, che difficilmente potranno concludersi nell'arco di due anni. I vari stati intenderanno difendere i loro interessi, spesso contrastanti. Se la Germania cercherà di minimizzare l'impatto negativo dell'uscita della Gran Bretagna, la Francia sarà più preoccupata della tutela dei suoi agricoltori e la Polonia di quella dei 750 mila polacchi attualmente oltremanica.

Inoltre, la UE non potrà rendere le cose tanto facili alla Gran Bretagna, onde evitare l'effetto domino, con altri paesi che, nel caso si rendessero conto che recedere dalla UE non comporta conseguenze tragiche come qualcuno aveva prospettato, potrebbero a loro volta decidere di andarsene.

Complicate saranno anche le cose per il parlamento britannico, che dovrà approvare una serie di leggi in settori, che fino ad oggi erano di esclusiva competenza dell'Unione Europea, ma che non potranno essere molto diverse da quelle attuali, se si intenderanno mantenere buoni rapporti con la UE.