In base a quando anticipato dall'Eco di Bergamo e poi ripreso dall'Ansa, martedì 12 settembre, l’ordinario militare per l’Italia mons. Santo Marcianò consegnerà al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, generale di Corpo d’armata Danilo Errico, la bolla della Congregazione per il culto divino in cui Giovanni XXIII viene indicato come patrono dell’Esercito italiano.

La cerimonia si svolgerà in forma riservata nella Biblioteca Militare Centrale di Palazzo Esercito in via XX Settembre nella capitale.

E così il Papa dell'enciclica Pacem in Terris diventa protettore dell'Esercito italiano. Ma protettore di un esercito che fa missioni di pace, obietterà quacuno. Ma è facile rispondere a quel qualcuno che oltre alle missioni di pace, fatte comunque sempre imbracciando un fucile, l'Esercito fa anche missioni di guerra o, anche, missioni in supporto a chi fa la guerra. E che cosa tutto questo possa avere a che fare con la pace non è ancora ben chiaro.

La decisione non è però piaciuta a tutti.

Questo è quanto ha dichiarato mons. Giovanni Ricchiuti, vescovo di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia: «Papa Giovanni XXIII è nel cuore di tutte le persone come il Papa Buono, il papa della pace, e non degli eserciti.

Come presidente della sezione italiana di Pax Christi, movimento cattolico internazionale per la pace, mi sembra irrispettoso coinvolgere come patrono delle Forze Armate colui che, da Papa, denunciò ogni guerra con l’Enciclica "Pacem in terris" e diede avvio al Concilio che, nella Costituzione "Gaudium et spes", condanna ogni guerra totale, come di fatto sono tutte le guerre di oggi.

Pensare a Giovanni XXIII come patrono dell’Esercito lo ritengo anticonciliare anche alla luce della forte ed inequivocabile affermazione contenuta nella Pacem in Terris, "con i mezzi di distruzione oggi in uso e con le possibilità di incontro e di dialogo, ritenere che la guerra possa portare alla giustizia e alla pace è fuori dalla ragione – alienum a ratione".

È "roba da matti", per usare un’affermazione di don Tonino Bello, anch’egli presidente di Pax Christi fino al 1993. - È roba da matti, aggiunge Mons. Ricchiuti che si dice certo che - «questo sentire non sia solo di Pax Christi, ma di tante donne e uomini di buona volontà, a cui chiediamo di unirsi con ogni mezzo a questa dichiarazione per esprimere il proprio rammarico per una decisione che non rappresenta il "sensus fidei" di tanti credenti che hanno conosciuto Giovanni XXIII o che ne apprezzano la memoria di quella ventata profetica che ha indicato alla Chiesa nuovi sentieri di giustizia e di pace.»


Alla voce di mons. Ricchiuti si aggiunge quella di Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da don Oreste Benzi, e «sorta grazie a migliaia di giovani con il sogno di donare la propria vita a servizio del Paese, ma in una forma non violenta, nel bene comune e soprattutto nella condivisione con i più poveri, scegliendo la possibilità del servizio civile e dell’obiezione di coscienza all’uso delle armi.»

Questo il commento di Ramonda, in dissenso alla nomima di Giovanni XXIII a patrono dell'Esercito Italiano. «Tra le nostre fonti di ispirazione c’è proprio il Magistero di pace di Papa Giovanni XXIII e il suo modo di operare sempre teso a favorire l’incontro e non il conflitto – ha affermato Ramonda -. Famosa è la sua frase: "Insistete su ciò che vi unisce piuttosto che su ciò che vi divide", spesso citata dal nostro fondatore.

Ci sembra decisamente una forzatura farlo diventare patrono di un esercito. Ci sembrerebbe più opportuno che il Papa Buono potesse essere patrono degli operatori di pace, a partire dai tanti giovani che svolgono con noi il servizio civile nelle zone di conflitto, per "Sanare le ferite e costruire ponti", come ha recentemente invitato a fare Papa Francesco.»

E chissà che cosa avrebbe detto oggi don Lorenzo Milani che nel 1965, con un articolo di risposta ad un comunicato dei cappellani militari della Toscana in cui i giovani italiani obiettori di coscienza venivano accusati di essere dei vili, si "guadagnò" una denuncia da parte di un gruppo di ex combattenti e venne rinviato a giudizio. 

Ma dovrebbe esser sufficiente a giustificare questa scelta il fatto che Roncalli nel 1915 fu prima soldato nella sanità e fu poi congedato col grado di tenente cappellano?


Secondo il teologo don Ezio Bolis, direttore della Fondazione Papa Giovanni XXIII, parrebbe di sì, in base a quanto ha scritto sull'Osservatore Romno lunedì 11 settembre: «Proclamare san Giovanni XXIII patrono dell’Esercito italiano significa ribadire il compito precipuo di questa istituzione in uno stato democratico: difendere il bene prezioso della pace imponendo la forza della legge.

Come motivazione si cita il suo zelo, come cappellano militare, nel promuovere le virtù cristiane tra i soldati, il luminoso esempio di tutta la sua vita e il suo costante impegno in favore della pace.

«Per Roncalli - afferma don Bolis, citando parole dello stesso Pontefice - "l’amor di patria non è altro che l’amore del prossimo, e questo si confonde con l’amore di Dio". A una condizione però: bandire dall’amor patrio quella retorica ipocrita con la quale spesso si farciscono i discorsi ufficiali, e tradurre le parole in generosa e fattiva disponibilità al sacrificio per il bene comune.

Il patronato di san Giovanni XXIII costituisce anche una provvidenziale occasione per riflettere in modo ponderato sul significato e l’opportunità di una presenza, quella dei cappellani militari, all’interno di un’istituzione qual è l’esercito.

[Per Papa Giovanni XXIII] i cappellani militari sono "gli uomini della pace, che con la loro sola presenza portano serenità negli animi". Non si tratta di benedire armi, né di fomentare sentimenti bellicosi, al contrario. Con la sua presenza, il cappellano è chiamato a raccogliere i gemiti di chi soffre, a promuovere una forte volontà di pace, a far crescere persone che, animate da fede solida e carità sincera, combattano ogni forma di prepotenza e di ingiustizia.»


Quest'ultima affermazione ricorda "quella retorica ipocrita con la quale spesso si farciscono i discorsi ufficiali" a cui il teologo don Ezio Bolis faceva riferimento poco sopra con le sue stesse parole. In pratica... se la canta e se la suona.