La destra svizzera UDC ha coniato il suo slogan: "Prima i nostri": una frase che la dice lunga sulle non celate intenzioni di chiudere le frontiere e vietare l'accesso ai lavoratori d'oltralpe.

Il relativo referendum indetto ha suffragato l'assunto: il 58% dei ticinesi si è detto favorevole alla misura da adottarsi, ponendo le basi per un duro confronto con le nazioni confinanti, prima tra tutte l'Italia, che esportano manovalanza e manodopera, anche qualificata, oltre i confini.

 Il testo, promosso dal partito di destra Udc e sostenuto dalla Lega dei Ticinesi, intende ancorare nella Costituzione ticinese la "preferenza indigena" al momento dell'assunzione e chiede alle autorita' del Cantone di garantire che sul mercato del lavoro ticinese "venga privilegiato a pari qualifiche professionali chi vive sul suo territorio".

ARRIVANO LE REAZIONI

Il risultato referendario non deve cogliere di sorpresa: è da tempo che il Ticino esprime questa tendenza, già sottolineata (ma questa volta a livello della Svizzera tutta) da un'iniziativa datata 2014: "Contro l'immigrazione di massa" fu approvata il 9 febbraio del 2014 con il 50.8% delle preferenze, ma nel solo Canton Ticino registrò ben il 68.2% di si.

Il Ministro Gentiloni non tarda a rispondere, anche lui - come si usa oggi- con un tweet: "Il referendum anti-frontalieri non ha per ora effetti pratici, ma senza la libera circolazione delle persone i rapporti tra la Svizzera e l'Ue sono a rischio".

Fa da eco al Ministro anche il sottosegretario agli Esteri Benedetto Della Vedova, che ha commentato la "scelta (di fatto) anti-italiana" del Ticino affermando che "non risponde ad una scelta razionale ma emotiva ed ideologica, l'ideologia della chiusura nazionalista, dei muri contro lo straniero 'a prescindere'".  

Qualcuno parte alla carica, come l'europarlamentare Lara Comi (Fi) che ha annunciato di aver scritto alla commissaria Ue Marianne Thyssem per chiedere di "poter avviare urgentemente la sospensione di tutti gli accordi ad oggi in essere tra Svizzera ed Europa".   

Risentito anche Maroni, Presidente della regione Lombardia, da sempre la zona che maggiormente "esporta" lavoratori nel vicino Cantone: a partire da domani - ha affermato Maroni -  la Regione "predisporra' le adeguate contromisure per difendere i diritti dei nostri concittadini lavoratori".

Dal canto suo, Juncker, tramite il proprio portavoce, non nasconde il "fastidio" di questa ulteriore tegola: sono in corso da tempo le trattative tra UE e Svizzera, generate dall'approvazione della modifica costituzionale del 2014, e questo nuovo capitolo rende tutto ancor più problematico. Ma la Ue non vuole e non può discostarsi dal principio imprenscindibile della libera circolazione dei lavoratori.

Ora, la spinosa questione passa alla Corte Federale, che deve comprendere se e come applicare il dictat popolare alla propria costituzione. Probabilmente, prenderà tempo, come del resto ha già fatto per l'attuazione della volontà popolare del 2014, ancora non attuata ad oggi.