Il ministro Minniti ha risposto nel pomeriggio di giovedì, in un question time alla Camera, ad una interrogazione relativa a "chiarimenti in merito alla vicenda del grave incidente verificatosi il 6 novembre 2017 nel Mar Mediterraneo e al ruolo svolto dalla Guardia costiera libica".

Nei giorni scorsi, il ministro Minniti, interrogato dai giornalisti in merito alla denuncia dell'OHCHR che addossava all'Europa e all'Italia una gestione fallimentare del problema relativo alla migrazione, perché per impedire a dei disperati di raggiungere le coste europee, finivano per essere testimoni silenziosi di forme di schiavitù, stupri e omicidi illegali, aveva risposto che sull'argomento avrebbe fatto una dichiarazione in Parlamento.

Come si capisce dal titolo, l'interrogazione trattava però di un altro fatto, seppur ugualmente grave. Pertanto, Minniti, si è guardato bene da rispondere a quanto chichiarato un paio di giorni fa dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani Zeid Ra’ad Al Hussein.


La domanda illustrata al ministro dal deputato Scotto era la seguente:
"Signor Ministro, il 6 novembre scorso si sarebbe verificato nel Mar Mediterraneo un grave incidente, con circa cinquanta dispersi, che ha coinvolto la Guardia costiera libica, la Marina militare italiana e due navi di organizzazioni non governative, Sea Watch e Sos Mediterranèe.

Nessuna collaborazione sarebbe stata offerta dai libici, al contrario quei militari, secondo testimoni diretti, avrebbero sequestrato 42 migranti e li avrebbero persino picchiati con corde e mazze. Questo incidente si inserisce già dentro un quadro drammatico sulla condizione di detenzione in Libia, così come denunciato dall'Alto commissario delle Nazioni Unite, e da quel video sconvolgente della CNN sull'asta degli schiavi a Tripoli.

Signor Ministro, le chiediamo se abbia acquisito informazioni ulteriori e che fine abbiano fatto quei 42 migranti."


Questa la risposta del ministro dell'Interno Marco Minniti:
"Onorevoli deputati, in merito al grave incidente verificatosi la mattina del 6 novembre scorso al largo delle coste libiche, durante l'operazione di soccorso in mare degli occupanti di un gommone, le ricostruzioni dei fatti attribuiti a soggetti presenti sul luogo del naufragio, la Guardia costiera libica e l'imbarcazione dell'ONG battente bandiera olandese Sea Watch 3, appaiono sostanzialmente divergenti.

La vicenda si è consumata a 30 miglia nautiche dalla costa libica a nord-est di Tripoli. Al termine delle operazioni, la nave Sea Watch 3 ha sbarcato nel porto di Pozzallo cinquantanove migranti e il cadavere di un minore. Risulta che la motonave della Guardia costiera libica abbia recuperato 47 migranti e la nave militare francese (FSLR) altri tre migranti e quattro deceduti.

Al momento, purtroppo, non è possibile avere un quadro certo di eventuali dispersi, anche se testimoni hanno riferito che potrebbe essere intorno ai 50. Sulla vicenda è in corso l'indagine della procura della Repubblica di Ragusa e il Governo assicura il più forte impegno a collaborare con l'autorità giudiziaria affinché sia fatta luce sulla dinamica dei fatti e le relative responsabilità, così come a mettere in campo, per quanto di sua competenza, tutte le iniziative utili affinché incidenti così drammatici non abbiano più a ripetersi.

I dati dell'Organizzazione mondiale dell'immigrazione al 12 novembre scorso attestano che dall'inizio dell'anno nel Mediterraneo centrale risultano disperse 2.749 persone, a fronte delle 3.793 dell'analogo periodo dell'anno precedente: una diminuzione anche significativa, sapendo tuttavia che anche una sola morte in mare è per noi inaccettabile.

Riguardo alle persone riportate in Libia, la Marina libica ha riferito di avere prestato loro assistenza umanitaria e medica e, in particolare, di avere trasferito in ospedale due persone, mentre il resto dei migranti è presso il centro di accoglienza di Tagiura.

Non sfugge che la questione posta dagli interroganti abbia tuttavia un valore più generale e riguardi le condizioni di vita di coloro che vengono riportati in Libia. Fin dal primo momento ci siamo posti il tema del rispetto dei diritti umani nei centri di accoglienza, non è una questione di oggi.

La Libia da oggi è crocevia di traffico di esseri umani e tuttavia non ha mai firmato la Convenzione di Ginevra del 1951. Per noi era, è e sarà una questione irrinunciabile.

Allo stesso tempo sappiamo che non basta denunciare, bisogna fare: sentiamo l'assillo di dovere agire.

Se oggi l'UNHCR ha potuto visitare ventotto dei ventinove centri di accoglienza presenti in Libia, individuando oltre mille soggetti in condizioni di fragilità a cui poter essere riconosciuta la protezione internazionale e la ricollocazione in Paesi terzi con le primissime ricollocazioni già effettuate, una sorta di corridoio umanitario per donne, bambini ed anziani, se l'organizzazione mondiale per l'immigrazione ha portato a termine dalla Libia oltre 9.353 rimpatri volontari e assistiti verso i Paesi di origine, se c'è un piano già operativo italiano di aiuti umanitari coordinato con i sindaci libici, se la nostra cooperazione internazionale sta procedendo ad un bando per l'attività delle ONG in territorio libico, se a Berna, lunedì scorso, i Ministri dell'interno dell'Europa e dell'Africa settentrionale compresa la Libia hanno firmato un documento di impegni sui diritti dei migranti e sul diritto alla protezione internazionale, lo si deve anche all'impegno del nostro Paese e dell'Europa.

Basta tutto questo? La risposta è chiara: no. Ma l'alternativa non può essere quella di rassegnarsi all'impossibilità di governare i flussi migratori e consegnare ai trafficanti di esseri umani le chiavi delle democrazie europee.

Questo è il cuore del problema: innanzitutto, sconfiggere il traffico di esseri umani e cancellare lo sfruttamento. Farlo significa porre credibili condizioni per regolare legalmente la questione migratoria, da un lato, con l'apertura di corridoi umanitari, che in questo anno ha consentito l'arrivo in Italia di mille profughi e che, grazie al protocollo da ultimo siglato il 7 novembre scorso al Viminale con la Comunità di Sant'Egidio, la Tavola Valdese e la Federazione delle Chiese evangeliche, consentirà l'arrivo nel prossimo biennio di altri mille profughi; dall'altro, attraverso gli ingressi legali concordati con i Paesi di provenienza. Sconfiggere, dunque, l'illegalità per promuovere e costruire la legalità nel campo delle immigrazioni."


Dalla risposta è chiara l'ipocrisia del ministro e la convenienza nel dire ciò che più gli fa comodo, oltre a nascondere pure l'evidenza dei fatti. In merito alla vicenda del 6 novembre ci sono le testimonianze video della Sea Watch 3 e quelle audio di un elicottero della Marina. Non credo che Minniti abbia necessità di attendere l'inchiesta di una Procura per sapere come sono andati i fatti. E che dire poi delle frustate, anche quelle riprese in un video, di cui Minniti non ha fatto parola?

Ci sarebbe poi la questione del controllo dei flussi, che Minniti continua a difendere come se fosse logica e corretta, soprattutto - come lui sostiene - per salvare la vita ai migranti... cosa che secondo Minniti sarebbe avvenuta perché in mare ne sono morti meno rispetto allo scorso anno. Ma la domanda è semplice: se invece che per mare i migranti muoiono nei centri di detenzione libici, qual è la differenza?

Se a Minniti fosse interessato salvaguardare la vita dei migranti, il suo piano, insieme al controllo del traffico via mare avrebbe dovuto provvedere anche a quello della gestione dei migranti via terra con militari Onu, strutture di accoglienza e canali umanitari gestiti dalle Nazioni Unite che prevedessero gli arrivi diretti in Europa. Oltre a questo avrebbe anche potuto provvedere ad attivare dalla Libia dei canali per il ritorno nei Paesi d'origine dei migranti non considerati profughi. Era così impossibile gestire tutto questo con l'aiuto dell'Onu, facendolo accettare anche alla Libia?

Anche perché, al di là delle smentite di rito, alla Libia, in una forma o nell'altra, per accettare l'attuale piano, dei soldi sono sicuramente arrivati.

È chiaro che a Minniti, al Governo italiano e al Partito Democratico (molti degli altri partiti non li cito perché già lo hanno dichiarato) non interessa nulla della sorte dei migranti. Ed il non detto odierno lo dimostra... semmai qualcuno avesse ancora pensato diversamente.