E dieci! Con quello pubblicato ieri sono per l'appunto dieci i decreti pubblicati dal Governo, non solo quello Renzi, per il salvataggio dell'Ilva.

Il 30 giugno è il termine ultimo per la presentazione delle offerte da parte degli eventuali acquirenti dell'acciaieria Ilva. Dopo, dovranno trascorrere circa 4 mesi perché un comitato di esperti decida la compatibilità ambientale di queste offerte che potranno poi, in funzione di eventuali rilievi, essere nuovamente modificate. Pertanto, solo a fine anno, se tutto va bene, potremo sapere chi sarà il nuovo proprietario dell'Ilva.

Nel frattempo, le acciaierie hanno continuato a lavorare iniziando ad adeguare la produzione alle nuove disposizioni di impatto ambientale. Ciò ha causato una diminuzione dei livelli produttivi ed una perdita consistente di redditività, dovuta anche al crollo del prezzo dell'acciaio il cui valore, soprattutto a causa della produzione in estremo oriente, si è quasi dimezzato.

In questo scenario viene a collocarsi l'ennesimo decreto governativo a salvataggio dell'azienda. Quali sono i punti essenziali? Per prima cosa, i 300 milioni che il Governo ha prestato all'Ilva non saranno più pagati dalla nuova proprietà, ma dall'attuale Amministrazione Straordinaria. In pratica, sarà Cassa Depositi e Prestiti ad accollarsi il debito, come già faceva intendere una precedente dichiarazione del suo amministratore delegato, Fabio Gallia: «Sarebbe un intervento, non solo per il territorio o per la filiera dell'acciaio, ma per tutta l'Italia e la sua competitività».

Ma non solo. Il rimborso allo Stato dovrà essere considerato un debito privilegiato, rispetto agli altri cui l'Ilva deve far fronte. In pratica, tra i creditori, l'unico ad avere garanzia del rientro dei soldi, sarà lo Stato tramite Cassa Depositi e Prestiti che, a quanto sembra, diventerà azionista di minoranza. Una specie di partita di giro per garantire il nuovo acquirente sull'impegno dello Stato e, allo stesso tempo, evitare all'Italia di incorrere nelle sanzioni dell'UE con l'accusa di aiutare un'azienda privata.

Oltre ai 300 milioni, l'altra decisione importante presente nel decreto è la possibilità di far slittare a fine 2019 il termine ultimo per l'attuazione del piano ambientale dell'Ilva, la cui scadenza, in precedenza, era fissata per il 30 giugno 2017. Inoltre, a questa si aggiunge l'estensione dell'immunità penale relativa alle attività di risanamente degli impianti, oltre che ai commissari, anche agli acquirenti dello stabilimento.

Questo decreto ha fatto indispettire, anche se il termine non è molto preciso, oltre che associazioni e forze politiche anche lo stesso presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, che, nonostante appartenga alo stesso partito del presidente del Consiglio, ha dichiarato: «Il decimo decreto ILVA è l'ennesimo errore dei vari Governi italiani succedutisi nel tempo sulla vicenda dell'acciaieria ILVA di Taranto. Si ritiene ingenuamente da parte del Governo in carica di facilitare la vendita a privati dello stabilimento,concedendo l'immunità dal diritto penale oltre che ai commissari, anche agli acquirenti dello stabilimento per le attività di esecuzione della Autorizzazione Integrata Ambientale. È ingenuo il Governo perché non riesce ad immaginare che i grandi players industriali che aspirano all'acquisto hanno perfettamente chiaro che la Corte Costituzionale non potrà più consentire lo scempio della Costituzione che essa deve invece presidiare. La Corte non potrà infatti ancora consentire un'ulteriore proroga del termine previsto dai decreti ILVA per l'adeguamento all'AIA senza travolgere il diritto alla salute dei tarantini».

Tirando le somme, sembra evidente che l'ostinazione dei governi che finora si sono succeduti nel voler tenere aperta l'Ilva sta facendo a pugni con l'attuale situazione del mercato per quanto riguarda l'acciaio. Il Governo, pur di trovare un nuovo acquirente, non farà altro che soddisfarne tutte le richieste al ribasso per invogliarne l'acquisto. Ma, in una situazione come quella di Taranto, come sarà possibile conciliare il risanamento ambientale ed il diritto alla salute con la redditività di una produzione i cui ricavi, a livello mondiale, sono sempre più ridotti?

La sensazione è che si stia prolungando l'agonia di un malato destinato sicuramente a morire. Intanto, Taranto continuerà a vivere sommersa tra i veleni. Tutto questo ha senso?