Sta facendo molto discutere la proposta del ministro dell'Interno, Marco Minniti, secondo cui i migranti dovrebbero svolgere lavori utili senza retribuzione.

La proposta è forte, seppur non nuova, ma implica una serie di conseguenze che il ministro o non ha considerato o non trova tanto sgradite. Inoltre essa cela quella che è la visione odierna del lavoro.

Imporre un lavoro, utile o non utile che sia per la comunità, senza che tale lavoro venga poi retribuito è il principio che descrive una vera e propria forma di schiavitù.

Forse, tra le considerazioni che hanno spinto Minniti a tale decisione, quella di considerare i costi sostenuti dall'Italia per l'accoglienza come una sorta di pagamento per il lavoro imposto.

Ma, a parte qualsiasi considerazione di carattere etico, non si possono dimenticare le conseguenti perplessità dovute sia alla quantificazione di una corretta retribuzione, sia al fatto, palese, che questa scelta finirebbe per ridurre la necessità di manodopera retribuita per realizzare gli stessi lavori, contribuendo così ad aumentare la disoccupazione.