L'Istat ha pubblicato il rapporto sul mercato del lavoro in Italia relativo al secondo trimestre 2017.

Rispetto all'area Euro dove l'economia è cresciuta in media dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e del 2,2% rispetto ad un anno fa, l'economia italiana ha registrato una crescita del Pil pari allo 0,4% rispetto ai primi tre mesi dell'anno e dell'1,5% rispetto ad un anno fa. Insomma, nonostante nei paesi dell'area euro l'economia cresca mediamente più di quanto avvenga in Italia, governo e maggioranza del nostro Paese cono comunque soddisfattissimi.

Perché, ci dice l'Istat, "i segnali di consolidamento dell'espansione dei livelli di attività economica, particolarmente significativi nell'industria in senso stretto e nei servizi, sono associati a un assorbimento di lavoro da parte del sistema produttivo che continua a espandersi in linea con la dinamica del Pil: le ore complessivamente lavorate crescono dello 0,5% sul trimestre precedente e dell'1,4% su base annua, confermando l'elevata intensità occupazionale della ripresa in corso."

Quella che viene definita "elevata intensità occupazionale" che ha portatto i lavoratori italiani a superare il numero di 23 milioni di unità, lo stesso del 2008, non ha però avuto lo stesso riflesso nelle ore lavorate, checché ne dica l'Istat. Infatti, nei primi 6 mesi del 2008, gli occupati in Italia avevano lavorato un totale di 22,8 miliardi di ore, mentre nel primo semestre di quest’anno quel numero è sceso a 21,7, come ci ricordano Cgia di Mestre e Fondazione Di Vittorio.

Questo significa che se a parità di occupati sono diminuite le ore lavorate, rispetto al 2008 i lavoratori a tempo pieno sono scesi e, viceversa, sono aumentati quelli a tempo determinato... una cosa da nulla, evidentemente secondo Governo ed Istat.

Infatti, l'Istituto di statistica è intento a mostrarci solo il lato positivo della medaglia. "Nel secondo trimestre del 2017 l'occupazione presenta una nuova crescita congiunturale (+78 mila, +0,3%) dovuta all'ulteriore aumento dei dipendenti (+149 mila, +0,9%), in oltre otto casi su dieci a termine (+123 mila, +4,8%). Continuano invece a calare gli indipendenti (-71 mila, -1,3%). Il tasso di occupazione cresce di 0,2 punti rispetto al trimestre precedente. I dati mensili più recenti (luglio 2017) mostrano, al netto della stagionalità, un aumento degli occupati (+0,3% rispetto a giugno, corrispondente a +59 mila unità), che riguarda sia i dipendenti sia gli indipendenti.

Tra il secondo trimestre del 2017 e lo stesso periodo dell'anno precedente si stima una crescita di 153 mila occupati (+0,7%) che riguarda soltanto i dipendenti (+356 mila, +2,1%), oltre tre quarti dei quali a termine, a fronte della rilevante diminuzione degli indipendenti (-3,6%). L'incremento in termini assoluti è più consistente per gli occupati a tempo pieno, e l'occupazione a tempo parziale aumenta soprattutto nella componente volontaria. La crescita dell'occupazione riguarda entrambi i generi e tutte le ripartizioni ed è più intensa per le donne e nel Nord."

Ma l'Istat si dimentica di ricordare che su base trimestrale, periodo maggio-luglio, gli occupati sono in crescita rispetto al trimestre precedente (+0,3%, +65mila) grazie sì all'aumento dei lavoratori dipendenti, ma in misura prevalente di quelli a termine, 110mila contro 10mila! L'aumento riguarda entrambe le componenti di genere e si concentra esclusivamente tra gli over 50. Ma nei giorni che devono esser di festa, meglio illustrare solo dati che siano convenienti alla narrazione di un'Italia in assoliuto benessere.

Pertanto, "il tasso di disoccupazione diminuisce di 0,4 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 0,6 punti in confronto a un anno prima, con maggiore intensità [addirittura] per quello giovanile. Nei dati di luglio 2017 il tasso di disoccupazione sale di 0,2 punti congiuntamente al calo di 0,3 punti del tasso di inattività 15-64 anni.

Rispetto agli utimi trimestri, nel confronto tendenziale si attenua la riduzione degli inattivi di 15-64 anni (-76 mila in un anno) e del corrispondente tasso di inattività (-0,1 punti). La diminuzione degli inattivi riguarda soltanto le donne, soprattutto il Mezzogiorno, gli individui di 35-49 anni, e coinvolge quanti vogliono lavorare (le forze di lavoro potenziali)."

Se questa è la tendenza, non si comprende, però, perché il Governo pensi di indirizzare la maggior parte delle risorse della prossima legge di bilancio per finanziare una nuova legge sul lavoro che consenta la decontribuzione per l'assunzione di uomini e donne fino a 29 anni di età. Non è un controsenso?

Ma in questo caso, l'Istat ci viene parzialmente in soccorso. "Le variazioni degli stock sottintendono significativi cambiamenti nella condizione delle persone nel mercato del lavoro, misurati dai dati di flusso a distanza di dodici mesi. Nel complesso continuano a diminure le transizioni da dipendente a termine a dipendente a tempo indeterminato (dal 24,3% al 16,5%). A fronte della riduzione complessiva delle transizioni dalla disoccupazione all'occupazione (-3,1 punti), i flussi dai disoccupati verso i dipendenti a tempo determinato aumentano (+0,9 punti). Riguardo agli inattivi, per le forze di lavoro potenziali è aumentata soprattutto la percentuale di quanti transitano verso la disoccupazione (dal 18,5% al 21,3% nei dodici mesi)."

Infine ecco i dati sull'occupazione dal lato delle imprese, ed anche in questo caso, il rosa è il colore prevalente: "Dal lato delle imprese, si confermano i segnali di crescita congiunturale della domanda di lavoro, con un aumento delle posizioni lavorative dipendenti pari all'1,1% sul trimestre precedente, sintesi della crescita sia dell'industria sia dei servizi. Le ore lavorate per dipendente crescono (+0,2%) rispetto al trimestre precedente, mentre diminuiscono su base annua (-0,7%), anche se continua la flessione del ricorso alla Cassa integrazione. Il tasso dei posti vacanti aumenta di 0,1 punti percentuali sul trimestre precedente. In termini congiunturali si registra una diminuzione dello 0,1% delle retribuzioni e dello 0,5% degli oneri sociali e, quale loro sintesi, un calo dello 0,2% del costo del lavoro."