Quello che tu erediti dai tuoi padri, riguadagnatelo, per possederlo è il titolo dell'incontro che si è svolto nel pomeriggio di martedì 22 agosto al meeting di Rimini edizione 2017.

A discutere sull'argomento, Pierbattista Pizzaballa, amministratore apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme ed Emilia Guarnieri, presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli.

Al di là degli aspetti di carattere dottrinale, sicuramente interessanti per le persone credenti, mons. Pizzaballa ha anche rilasciato dichiarazioni molto precise sull'attuale situazione in medioriente e sui rapporti tra Israele e Palestina. Dichiarazioni sicuramente utili e interessanti, perché supportate dalla sua lunga permanenza in quei luoghi in qualità di custode della Terra Santa.

«Il muro israeliano è una vergogna, e resta tale. È una ferita nella storia, nella geografia, nella vita delle persone, un simbolo dolorosissimo della situazione di incomunicabilità tra israeliani e palestinesi, della paura, della mancanza di prospettive e di visione delle due parti. [...]

Ci sono generazioni di palestinesi che non sono mai state dall’altra parte del muro, e lo stesso vale per gli israeliani. È un segno della triste situazione nella quale ci troviamo oggi.

In questo momento non c’è dialogo tra israeliani e palestinesi, non abbiamo davanti grandi scenari e nemmeno grandi visioni. Siamo in una fase stagnante.»

Secondo mons. Pizzaballa, a rendere ancor più problematico il rapporto tra israeliani e palestinesi è «l’ambiguità... non c’è né pace, né guerra, e questa sta deteriorando la situazione. L’unica via salvezza è lavorare nelle piccole realtà in attesa che la comunità internazionale faccia qualcosa.»

Inoltre, proseguendo sull'argomento, Pizzaballa ha voluto ricordare che il nodo principale tra israeliani e palestinesi è soprattutto Gerusalemme: «Finché ci sarà qualcuno, israeliano o palestinese, che rifiuta il legame dell’altro alla città santa, sarà un problema. A Gerusalemme ebrei, cristiani e musulmani devono sentirsi a casa loro. E perché ciò accada devono essere accolti tutti. In questo momento i fatti non vanno in questa direzione purtroppo.

Compito dei leader religiosi e dei politici è di smettere di ritenere Gerusalemme come esclusivamente propria, ma proprietà aperta a tutti per condividerne l’appartenenza.»

Quali siano in proposito le intenzioni di Abu Mazen, ultimamente impegnato quasi esclusivamente in una lotta contro Hamas per conquistare l'unità politica e la leadership di un popolo palestinese riunito sotto un unico geverno, è difficile dirlo. Più facile, invece, ipotizzare quelle di Netanyahu, che ad un processo di pacificazione pensa come l'ultimo dei problemi cui metter mano... e ancor meno ad una Gerusalemme aperta a tutti!