Uno scienziato iraniano, accusato di spionaggio per conto degli Stati Uniti, è stato impiccato per tradimento la settimana scorsa a Teheran.

Ne ha dato conferma domenica l'agenzia di stampa IRNA, riportando le parole di un portavoce del ministero della Giustizia, secondo il quale Shahram Amiri, questo il suo nome, è stato giustiziato per aver passato informazioni al nemico.

Quella di Shahram Amiri è davvero una storia particolare, piena di enigmi ancora irrisolti, che rendono difficile stabilire se sia stato un collaboratore o una vittima della CIA o, magari, entrambe le cose. Vediamo di ricostruire la vicenda.

Di Amiri se ne sente parlare per la prima volta sei anni fa, il 6 giugno 2010, quando in un video su YouTube, registrato in una località segreta, racconta di essere stato rapito, imprigionato e torturato dalla CIA.

In un secondo video, di appena un mese dopo, racconta tutta un'altra storia, sostenendo di essere arrivato negli Stati Uniti di propria volontà per studiare, ma che sente moltissimo la mancanza del figlio, rimasto a Teheran.

Alla metà di luglio, Amiri può finalmente riabbracciare suo figlio. Arriva all'aeroporto di Teheran, accolto dai familiari e da esponenti del governo come un eroe, e tiene perfino una conferenza stampa.

Ma gli iraniani intendono vederci chiaro e stabilire se davvero hanno a che fare con un eroe oppure con una spia, che ha rivelato agli americani informazioni sul loro programma nucleare. A poche settimane dal suo arrivo, Amiri scompare e alune voci lo danno in prigione.

Di lui non si è più saputo niente fino al triste epilogo della settimana scorsa.

Ma chi era Shahram Amiri? Nato nel 1977, lavorava in un centro di ricerca impegnato nello sviluppo del programma nucleare iraniano ed era specializzato nella misurazione delle radiazioni nucleari. Sebbene non facesse parte dell'equipe di Mohsen Fakhrizadeh, il responsabile dell'utilizzo del nucleare a scopi militari, Amiri aveva l'opportunità di visitare molti siti sensibili in tutto il paese e, per questo, fu arruolato dalla CIA.

O almeno questo, e quello che segue, è quanto riferiscono fonti dell'intelligence americana, che, per difendersi dalle accuse di rapimento e di tortura, hanno raccontato la loro versione dei fatti, che rimane, comunque, una versione unilaterale, priva di riscontri.

Amiri non aveva, però, la stoffa della spia e ad un certo punto ci fu il timore che potesse essere scoperto. La CIA racconta di avergli proposto di farlo uscire dall' Iran e di avergli promesso una nuova identità e cinque milioni di dollari. Amiri, separato dalla moglie, accettò l'offerta e decise di partire senza farsi accompagnare dal figlio ancora piccolo.

La fuga avvenne nel mese di giugno del 2009. Amiri lasciò il suo posto all'università e partì per un pellegrinaggio alla Mecca, in Arabia Saudita, da cui non fece più ritorno. Dal paese saudita gli americani lo trasferirono negli Stati Uniti, a Tucson, in Arizona, dove fu inserito in un programma di protezione.

Non passò molto tempo, che la ex-spia cominciò a sentire la mancanza del figlio ed a passare ore al telefono con i parenti in Iran. I servizi segreti iraniani avrebbero cominciato ad esercitare pressioni sulla famiglia e, secondo alcune fonti, a minacciare di fare del male al figlio.

Sarebbero stati loro, sempre secondo la CIA, a suggerire ad Amiri di registrare un video sostenendo di essere stato rapito. Cosa che lui fece, dicendo di essere stato catturato a Medina, in un'operazione congiunta della CIA e dei servizi sauditi, e successivamente drogato e torturato. Poco tempo dopo, il video fu trasmesso sulla televisione di stato iraniana.

Ma la CIA, a sua volta, gli fece registrare il secondo video, dove Amiri cambia versione e dice di trovarsi lì di sua spontanea volontà e di essere completamente al sicuro.

La moglie, intervistata dalla televisione iraniana, sostenne che il secondo video era un falso, in cui il marito era stato costretto a leggere un testo scritto da altri.

Gli iraniani trasmisero anche un terzo video alcune settimane dopo, registrato quando Amiri era già tornato in Iran, in cui lo scienziato riprendeva la storia del rapimento, conclusasi, però, felicemente essendo lui riuscito a sfuggire ai suoi rapitori.

La CIA racconta di un uomo resosi conto di aver commesso uno sbaglio nell'essere fuggito dal suo paese e desideroso di riabbracciare il figlio. Gli furono fatti presenti i rischi in cui sarebbe potuto incorrere ritornando in Iran, ma non ci fu modo di convincerlo e legalmente non poteva essere trattenuto.

A luglio del 2010 Amiri si consegnò all'ambasciata del Pakistan a Washington, che al tempo rappresentava gli interessi dell'Iran, che non aveva rapporti diplomatici con gli Stati Uniti.

Arrivato a Teheran il 15 luglio, ai giornalisti che lo aspettavano all'aeroporto raccontò che gli erano stati offerti milioni di dollari per restare negli Stati Uniti e rivelare tutto quello che sapeva sul programma nucleare, ma di essersi rifiutato, precisando di non essere mai stato nei siti nucleari iraniani più importanti.

Poco tempo dopo il suo arrivo, come abbiamo visto, scomparve.

La madre in un'intervista alla BBC ha raccontato che il figlio era stato in un primo momento condannato a 10 anni di carcere, pena che il mese scorso sarebbe stata trasformata in una condanna a morte.

A questo proposito, negli Stati Uniti c'è chi incolpa della commutazione della pena la stessa Hillary Clinton. Infatti, il senatore repubblicano dell'Arkansas Tom Cotton sottolinea come, fra le mail che la Clinton aveva archiviato su un server privato, non protetto (fatto per cui è stata indagata e poi non ritenuta perseguibile dall'FBI), diffuse nel marzo scorso da WikiLeaks, ce ne sia una in cui si menziona il caso di Aimiri e l'opportunità di lasciarlo andare, rispettando la sua volontà.

Questo, secondo Cotton, avrebbe confermato agli iraniani che Amrii era stato effettivamente una spia e da qui la decisione di giustiziarlo.