Firenze. Segue la lettera di un cittadino, disoccupato, spedita ai primi di novembre alla Ministra Giannini.

”Mi chiamo Andrew M. e sono qui a descriverLe una situazione troppo a lungo taciuta ma che deve conoscere. Sono un cittadino italiano nato e vissuto a Firenze. Per 8 anni ho lavorato presso il Ce.S.A.L (centro stabulazione animali da laboratorio) nella struttura ospedaliera di Careggi.

Le scrivo perché da Gennaio mi ritrovo disoccupato. Questo non sarebbe un problema se le cose fossero andate in modo corretto. Le spiego.

Agli inizi fui assunto tramite agenzia interinale per il lavoro. Convivevo a quel tempo e non mi potevo permettere di fare il pretenzioso per poter lavorare. Fui assunto con un contratto a termine, ma con l’andare del tempo e il mio impegno riuscii a prolungare la mia permanenza in quel posto di lavoro. Con i colleghi c’era rispetto e amicizia e il lavoro procedeva con entusiasmo. Del mio operato erano contenti tutti, professori e studenti e mi sentivo realizzato anche a livello umano e non solo professionale.

Le mie mansioni consistevano nel cambiare le gabbie e nutrire gli animali adibiti alla sperimentazione farmaceutica (ratti, topi, conigli e cavie), tenere i laboratori puliti e, se richiesto, dare assistenza ai ricercatori che avevano bisogno di supporto.

Ora, io non ho diploma superiore o specializzazioni particolari, ma dovetti imparare sul campo a fare cose che una persona dovrebbe invece apprendere studiando o frequentando corsi. Me lo imposero di imparare. Ce n’era bisogno e comunque (a loro dire) faceva parte del lavoro. Diedero la possibilità di evitare di fare alcune cose, ma sappiamo tutti che non è mai positivo negarsi sul posto di lavoro e io nella mia situazione, non potevo certo permettermi di perdere quel posto che mi consentiva di poter vivere. Imparai.

Questo mi permise di restare ancora fino a quando all’università non cambiarono le disposizioni di assunzione. In pratica chi non aveva diploma era destinato a essere licenziato poiché non avrebbe potuto partecipare ai concorsi necessari per poter poi entrare nel circuito universitario. Conoscendo la mia situazione sia i colleghi che il direttore del centro, dott. Corradetti Renato, fecero l’impossibile per aggirare il problema e la soluzione che trovarono fu quella di farmi assumere come stabularista privato con contratto a progetto, da un dipartimento esterno che aveva sede nei locali del Centro: Chiesi Farmaceutici. Questo per i successivi 3 anni.

Ebbi così la possibilità di continuare a dare sostegno ai miei “ex” colleghi e continuare a lavorare anche se avevo perso i vari bonus che avevo nel precedente contratto statale (buoni pasto, ferie, malattia e liquidazione). Mi stava bene, non feci storie, avevo ancora il mio lavoro.

Tutto procedeva bene fin quando al Centro non si decise di assumere nuovo personale data la grande mole di lavoro che si stava creando. La mia caporeparto era diventata polemica su tutto. “Ci sono troppi animali”, “non abbiamo tempo di pensare a tutto” erano le frasi che sentivo dirle più spesso. Senza contare che aveva sempre più evidenziato il suo attaccamento verso un’altra mia neo collega agevolandola in ogni cosa, tenendola sotto la sua ala e valorizzandone le doti. Ok, va bene siamo un gruppo di colleghi e amici e mi sta bene ci siano delle preferenze, in fondo sappiamo tutti come funzionano certi posti di lavoro. Eravamo in tutto 4 donne e 2 uomini prima delle assunzioni.

Mi ritrovai da solo contro 4 donne e dopo il concorso contro 6. Donne che meno facevano e più contente erano. Donne che fecero dell’amicizia nata in anni di lavoro fianco a fianco, motivo per obbligarti a fare quello che dovevano fare loro. Io per contratto, dovevo gestire solo gli animali che facevano parte del mio gruppo di ricerca, ma ho sempre dato una mano perché sentivo mio il dovere di farlo. Di contro spesso e volentieri mi sentivo dire “sono arrivati i TUOI animali, sistemali” oppure “se domani non ci sei, chi pulisce i TUOI animali” e cose così.

Pensi, che quando dovetti andare a Parma alla sede centrale per un corso, le mie colleghe mi fecero tornare da solo in treno (invece che con i colleghi del gruppo col quale ero partito), perché era giorno di consegna e loro non avevano intenzione di mettere gli arrivi a posto. Io ho sempre visto il lavoro come lavoro. Non ho mai fatto distinzione di gruppi, persone o altro. Ero li per lavorare. Ma va bene, continuai.

Arrivò finalmente questo concorso che avrebbe dovuto aiutarci tutti. Io sostenevo le colleghe che volevano entrare a lavorare a tempo indeterminato e speravo nelle braccia in più che sarebbero poi arrivate. A parte che furono assunte le classiche raccomandate e che il concorso fu pilotato (si sapeva già da prima chi doveva entrare a lavorare e chi se ne doveva andare), io mi vidi persone attorno che iniziarono a sminuirmi e a rendermi le cose complicate. Persone che con la scusa dei “miei” animali, mi lasciavano le gabbie in condizioni pietose, specie nel week end (i loro nuovi contratti prevedevano anche un controllo nel week end degli animali del centro, io e la caporeparto ne eravamo esenti). Se andavano a gettare le scatole, quelle dei “miei” animali le lasciavano da gettare e via dicendo.

Ressi questa situazione fino a gennaio 2015. Periodo in cui iniziai a soffrire di sciatica e che quindi non ero più in condizioni ottimali per svolgere le mansioni che avevo svolto fino a poco tempo prima. Come se non bastasse mi incidentarono la macchina sotto casa e quindi restai anche a piedi. Nonostante questo ho sempre cercato di mantenere un orario idoneo dato che tutte le mattine alle 8.30, dovevo portare un certo numero di animali (sacrificati per mia mano) nel laboratorio del mio gruppo di ricerca. L’unico modo era andare a piedi.

In quelle condizioni non correvo e ogni tanto mi fermavo a far riposare la gamba. Un giorno vidi che non riuscivo ad essere in orario e chiesi aiuto ad una delle mie colleghe. All’inizio mi disse “si”, poi però quando arrivai i ragazzi del mio gruppo mi fecero una sfuriata perché erano dovuti andare loro a sopprimere gli animali che, in teoria, avrebbe dovuto sopprimere la collega al posto mio. Tra la stanchezza, il dolore e la rabbia corsi a chiedere il perché e mi fu risposto “mi sono messa a parlare di altro e non l’ho fatto”. Ma come? Siamo a lavorare tutti e ti permetti di rispondermi in questo modo per una mansione che (in qualunque caso) ti spetta? Andai infuriato dalla mia referente e le spiegai la situazione. Indette una riunione per il giorno successivo.

Io espressi i miei pensieri, le mie colleghe (tutte) si rivoltarono verso di me (anche le neo assunte che non avevano voce in capitolo) accusandomi di essere io quello in difetto, che non potevano fare anche il mio lavoro (loro erano in 7 io da solo) e che se stavo male dovevo stare a casa.

Queste parole le ho sentite da gente che pur avendo un contratto a TEMPO INDETERMINATO, una 14esima e tutto il resto, si permettevano di dormire in orario di lavoro (vedi foto in alto, ndr.). Di far storie se c’era un camion di mangime da mettere in magazzino, oppure due topini da anestetizzare. Io non l’ho trovato professionale ne’ giusto. Tanto più che feci addirittura le foto a queste situazioni e che allego alla suddetta lettera. Da quella situazione la mia referente non mi calcolò più, anzi, iniziò a trattarmi come se non fossi neanche necessario.

Io allora già compresi la situazione e sapevo benissimo che al prossimo rinnovo contrattuale, sarei stato eliminato. E così fu. Da gennaio scorso sono senza lavoro.

Ho dovuto lasciare, casa, amici e tornare a vivere con i miei dato che non sono riuscito a trovare un altro lavoro. Dopo anni di sacrifici avevo perso tutto, mentre adesso, persone che non meriterebbero altro di stare a casa, sono a svolgere le mansioni che io ho sempre fatto con passione.

Naturalmente la ciliegina sulla torta fu sapere che due delle nuove assunte, dopo neanche 4 mesi, entrarono in maternità e che quindi non potevano più stare nei locali del centro. Ovviamente, con un contratto a tempo indeterminato e da statale, lavorare esula dal contratto stesso. Questo mi fece capire che cosa avesse di bello il mio lavoro e del perché si comportavano in quel modo.

A luglio chiesi aiuto anche al rettore dell’università di Firenze, ma ebbi solo modo di parlare con la direttrice che mi disse che mi avrebbe fatto sapere qualcosa… siamo a ottobre, sono sempre disoccupato e sono stato dimenticato. Un ente come la grande Università degli Studi di Firenze non può giocare con le vite delle persone. Fu l'Università stessa a richiedere la mia forza lavoro a suo tempo e non posso accettare che mi si cambi le carte in tavola quando il gioco è iniziato. Una tutela ci deve essere per il  lavoratore, specie se poi si assistono a questi comportamenti poco idonei sul posto di lavoro.

Mi appello a Lei per avere almeno la giustizia del caso dato che ho anche le prove di quanto dico e le allego le foto in questa mail. Le lascio anche i miei recapiti se riterrà opportuno avere dei chiarimenti.

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