Emmanuel Macron è senza dubbio un uomo dalle soluzioni facili. Lo sanno bene alcuni lavoratori di Lunel, piccola città situata nel dipartimento dell'Hérault, i quali, scesi in piazza nel maggio 2016 per manifestare contro la tanto discussa Loi du Travail, si sono sentiti rispondere dall’allora ministro dell’Economia in persona: «Se non volete che la Francia sia bloccata – dagli scioperi –, smettete di bloccarla». L’arroganza del potere, sì, perché subito dopo quella frase, pronunciata del resto con una disarmante naturalezza, il giovane ministro ha concluso sostenendo di «non aver nessuna lezione da imparare», da loro, gli scioperanti.

            Caso mediatico curioso, quello del nuovo Presidente della Repubblica Francese. Abituati infatti, noi italiani, ad affezionarci per politici modello everyman, vale a dire per politici che rispettano ed elogiano l’elettore medio semplicemente per quello che quest’ultimo è, ben attenti a non infondergli alcun complesso d’inferiorità, stupisce di conseguenza ritrovarsi a commentare l’elezione di un politico come Emmanuel Macron, il quale, proprio del cosiddetto everyman, sembra avere al contrario molto poco.

            D’altronde, si sa, l’Europa è più divisa di quanto tutti i filoeuropeisti non vogliano lasciar intendere, e ciò trova puntuali conferme ogniqualvolta venga data la possibilità ai singoli paesi di poter eleggere democraticamente i propri candidati; in tali occasioni, infatti, come se tutti i nodi dovessero venire prima o poi al pettine, si scopre con colpevole ritardo che modelli mediatici in voga in un determinato paese risultano del tutto inefficienti in altri, e viceversa: la rigidità e la compostezza di Angela Merkel funzionano in Germania, ma non è detto che funzionino altrettanto bene in Italia, anzi è sicuro; d’altro canto, l’esuberanza e il dinamismo che gli italiani pretendono dai loro politici sembrano essere sostanzialmente inappropriati per quanto riguarda paesi come Polonia e Ungheria.

            Al fine di provare allora a capire qualcosa in più della recente elezione politica di Emmanuel Macron, si procederà qui di seguito ad una prima analisi fenomenologica del suo personaggio.

            Al di là degli innumerevoli apprezzamenti estetici che la maggior parte dei mass media francesi sembra rivolgere alla sua figura, Emmanuel Macron, di primo acchito, non si distingue necessariamente per la sua bellezza: il fisico non sembra essere dei più atletici, le spalle sono strette, l’altezza è modesta; l’attaccatura dei capelli è abbastanza alta e la fronte larga; il sorriso, non dei più brillanti, dà spesso l’impressione di essere forzato, quindi falso. Gli occhi, quelli sì hanno forse qualcosa di affascinante, ma è anche vero che lassù, in Francia, avere gli occhi blu è una caratteristica assai più comune di quanto non lo sia in Italia.

            Le ragioni del suo successo, giacché un politico che raggiunge più di venti milioni di preferenze, sebbene al ballottaggio, gode indiscutibilmente di un reale successo, vanno allora cercate altrove. È innegabile che il suo charme sia in parte legato alla giovane età, la quale lo aiuta a farsi passare naturalmente per l’uomo nuovo e ad essere di conseguenza più credibile rispetto ai suoi avversari quando parla di cambiamento e rinnovamento. Ma se il fattore-età, adeguatamente sfruttato, può tornare certo utile alla costruzione di un personaggio politico, esso, di per sé, non può fungere mai da condizione sufficiente per il successo; come insegnava lo strutturalista francese Claude Levi-Strauss, d’altronde, i veri miti non hanno mai età.          Funziona semmai, Emmanuel Macron, per mezzo del paradossale scarto che si evince tra l’indiscussa potenza mediatica del suo personaggio e la scarsità di informazioni che i francesi hanno nei suoi confronti; uno scarto che contribuisce per l’appunto a creare attorno alla sua figura, a tutto ciò che fa oppure semplicemente è, una charmante aura di mistero, un interesse mediatico continuo.

            Un po’ come per il grande Gatsby, di cui tutti a Long Island, senza averne del resto prove, azzardavano storie circa l’origine delle sue ricchezze, così infatti oggi in Francia, interrogandosi ormai da più di cinque mesi su chi sia il vero Macron, da dove provenga, quali lobby finanziarie protegga, che tipo di politico sarà, la gente è costretta a restare all’ordine dell’ipotesi, del sentito dire: «Si dice che Macron sappia suonare perfettamente Beethoven fin dall’età di dodici anni…», «Dicono che Macron non dorma più di tre ore a notte…», «Ho sentito dire che Macron è diventato milionario in seguito ad una sua intermediazione in un affare da undici miliardi...», «Sembra che Macron nominerà un repubblicano per il ruolo di Primo Ministro, e non un socialista, come invece molti credevano…». Tra i suoi detrattori, c’è chi lo accusa di essere addirittura un massone, altri di essere infedele a Brigitte, sua moglie – a tal riguardo, «Si dice che Macron sia omosessuale…» –; ma anche così agendo, sebbene in modo indiretto, essi non fanno altro che aumentare il già alto grado di popolarità del personaggio: sì, perché spesso, come recita la ben nota lezione warholiana, «non c'è migliore pubblicità della cattiva pubblicità».

            Se si dovesse dire a quale dei due modelli massmediatici intuiti da Umberto Eco in un celebre saggio del 1961 su Mike Bongiorno, ovvero quello del superman e dell’everyman, il personaggio Macron appartenga, si sarebbe di certo propensi ad optare più per il primo: a molti non è sfuggito infatti come il giovane politico, in occasione dei suoi meeting, continuasse volutamente a guardare verso l’alto, a braccia tese, suggerendo un’immagine di sé quasi cristica; inoltre, si pensi alla lunga ed ambiziosa – presuntuosa persino per noi italiani – promenade/sfilata solitaria nei pressi del Louvre la sera del 7 maggio, subito dopo l’annuncio della sua vittoria al ballottaggio. Tuttavia, in Emmanuel Macron, anche qualcosa dell’everyman esiste: sarà difficile vederlo un giorno giocare alla play-station con i suoi colleghi oppure indossare un giubbotto in pelle stile Fonzie, come Matteo Renzi, erroneamente indicato dai nostri giornalisti quale il corrispettivo di Macron in Italia, ma anch’egli ha d’altronde pensato bene di esprimere pubblicamente la sua fede per una squadra di calcio, l’OM (Olympique de Marseille), e non sembra a priori disprezzare i vari inviti che riceve dai più noti salotti televisivi francesi.

            È vero, non ama particolarmente stare a contatto con il popolo, composto da operai con cui ammette di non riuscire a dialogare, poiché «illetterati», e da manifestanti da cui ritiene di non «aver nessuna lezione da imparare»; ciononostante, sa perfettamente che la riuscita del suo quinquennio da Presidente dovrà necessariamente passare anche attraverso il giudizio di quest’ultimo, ed è pertanto prevedibile che le sue parole, con il passare del tempo, diverranno un po’ più concilianti.

            Philippe Daverio, recentemente intervenuto in una trasmissione televisiva italiana per commentare il risultato delle elezioni presidenziali d’oltralpe, ha parlato di Emmanuel Macron come del «prodotto naturale della borghesia francese dal XIX secolo a oggi». Vengono in mente, a tal riguardo, i grandi romanzi ottocenteschi dei vari Balzac, Flaubert, Maupassant e Stendhal, concepiti per l’appunto a partire dalle molte contraddizioni della classe borghese francese di provincia. In questi libri capita spesso di imbattersi in cinici arrivisti, in seduttori, in giovani ambiziosi che, in cerca di gloria e fama, abbandonano la provincia per approdare a Parigi. Storie bellissime e affascinanti. Storie, però, di grandi drammi. Bon courage, chère France!