Padre Mussie Zerai, fondatore dell’Agenzia Habeshia che oltre a progetti per la cooperazione allo sviluppo si occupa di fornire assistenza - anche amministrativa e legale - a migranti, profughi e rifugiati, è stato indagato dalla Procura di Trapani nell'ambito dell'inchiesta che ha portato al sequestro della nave Iuventa della Jugend Rettet, l'ONG tedesca di cui alcuni membri si sarebbero resi colpevoli del reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina.

Padre Mosè. Nel viaggio della disperazione il suo numero di telefono è l'ultima speranza. Così definisce se stesso Mussie Zerai in un'autobiografia uscita per Giunti pochi mesi fa. "Quello di Don Mussie Zerai, Padre Mosé, non è un numero di telefono qualunque. È l'appiglio estremo, l'ultima traccia di umanità alla quale aggrapparsi per i molti che affrontano il Viaggio. Dalle carrette del mare, dai container arroventati nel cuore del Sahara, dai lager libici, dalle carceri egiziane o dai campi profughi del Sudan, i migranti chiamano. E Don Zerai risponde. Sempre."

Ma, almeno per alcuni, Mosè adesso è diventato un trafficante di uomini. Neanche il tempo di ricevere ufficialmente la notifica da parte della Procura che don Zerai, già colpevole del reato di essere "amico" della Boldrini, doveva, secondo alcuni, già quasi esser messo in galera.

«Sono stato chiamato in causa da qualche testata giornalistica per episodi che, così come sono stati ricostruiti e raccontati, si rivelano a mio avviso vere e proprie calunnie e, per la sistematicità con cui vengono rappresentati e diffusi, potrebbero configurare una vera e propria campagna denigratoria nei miei confronti e di quanti collaborano con me nel programma umanitario in favore di profughi e migranti, che abbiamo costruito nel corso di anni di lavoro.»

Questo l'inizio del comunicato diffuso dall'Agenzia Habeshia con cui Mussie Zerai, oltre a rispondere ai suoi detrattori, dà notizia dell'indagine avviata nei suoi confronti, ripercorrendo anche l'attività da lui svolta in questi anni.

Mi riservo di controbattere nelle sedi legali opportune a questa serie di calunnie che mi sono state indirizzate. Per il momento posso dire di aver ricevuto solo la mattina di lunedì 7 agosto, mentre rientravo da un viaggio di lavoro, la notizia che la Questura di Trapani dovrebbe notificarmi l’avviso di un procedimento per conto della locale Procura. Immagino che sia un provvedimento ricollegabile all’inchiesta aperta sulla Ong Jugend Rettet.

Se di questo si tratta, posso affermare in tutta coscienza di non aver nulla da nascondere e di aver agito sempre alla luce del sole e in piena legalità. A parte l’iniziativa di Trapani, di cui ho già informato i miei legali in modo da prenderne visione ed eventualmente controbattere in merito, non sono stato chiamato in alcuna altra sede per giustificare o comunque rispondere del mio operato in favore dei profughi e dei migranti.

Confermo che, nell’ambito di questa attività – che peraltro conduco da anni insieme ai miei collaboratori – ho inviato segnalazioni di soccorso all’Unhcr e a Ong come Medici Senza Frontiere, Sea Watch, Moas e Watch the Med. Prima ancora di interessare le Ong, ogni volta ho informato la centrale operativa della Guardia Costiera italiana e il comando di quella maltese.

Non ho invece mai avuto contatti diretti con la nave della Jugend Rettet, chiamata in causa nell’inchiesta della Procura di Trapani, né ho mai fatto parte della presunta “chat segreta” di cui hanno parlato alcuni giornali: le mie comunicazioni sono state sempre inoltrate tramite un normalissimo telefono cellulare.

Tutte le segnalazioni sono il frutto di richieste di aiuto che mi sono state indirizzate non da battelli in partenza dalla Libia, ovvero al momento di salpare, ma da natanti in difficoltà al largo delle coste africane, al di fuori delle acque territoriali libiche e comunque dopo ore di navigazione precaria e pericolosa.

Quando mi è stata comunicata nella richiesta di aiuto, ho specificato anche la posizione in mare più o meno esatta del natante. Lo stesso vale per il numero dei migranti a bordo ed altre notizie specifiche: persone malate o ferite, donne in gravidanza, rischi particolari, ecc. In buona sostanza, cerco di avere ogni volta le informazioni che mi sono state indicate proprio dalla Guardia Costiera Italiana.

E’ vero che di volta in volta ripeto la segnalazione anche via mail, ma anche questo è dovuto a una indicazione che ho ricevuto nel 2011 dal comando centrale della Guardia Costiera, che mi chiese di confermare i miei messaggi via mail, cioè in forma scritta, dopo la tragedia avvenuta nel Mediterraneo tra i mesi di marzo e aprile (63 morti), in merito alla quale diversi soggetti negarono di aver ricevuto richieste di soccorso.

Non si tratta dunque, come qualcuno ha scritto, di messaggi telefonici in rete “pro invasione” dei migranti – ammesso e non concesso che sia una invasione, ipotesi smentita dalle cifre stesse degli arrivi rispetto alla popolazione europea – ma di interventi rivolti a salvare vite umane.

Interventi concepiti nel medesimo spirito, ad esempio, dell’operazione Mare Nostrum – varata nel novembre 2013 dal Governo italiano e purtroppo revocata dopo un anno – nella convinzione che se programmi del genere fossero in vigore ad opera delle istituzioni europee o magari dell’Onu, probabilmente non sarebbe stata necessaria la mobilitazione delle Ong e, più modestamente, quella di Habeshia, nel Mediterraneo.

Fermo restando che il problema non si risolve con il soccorso in mare, per quanto tempestivo ed efficiente, ma, nel breve/medio periodo, con l’organizzazione di canali legali di immigrazione e con una riforma radicale del sistema europeo di accoglienza e, nel lungo periodo, con una stabilizzazione/pacificazione dei paesi travolti dalle situazioni di crisi estrema che costringono migliaia di persone a fuggire ogni mese.

Quanto alle accuse che mi vengono mosse dal Governo eritreo, anche queste ampiamente riprese da alcuni organi di stampa, si commentano da sole: sono le accuse di un regime dittatoriale che ha schiavizzato il mio Paese e non tollera alcun tipo di opposizione, perseguendo anche il minimo dissenso con la violenza, il carcere, i soprusi, la calunnia. Un regime – hanno denunciato ben due rapporti dell’Onu, dopo anni di inchiesta, nel 2015 e nel 2016 – che ha eletto a sistema il terrore, costringendo ogni anno migliaia di giovani ad abbandonare la propria casa per cercare rifugio oltre confine.

Alla luce di tutto questo, ritenendo molte notizie pubblicate sul mio conto assolutamente diffamatorie e denigratorie, ho dato incarico ai miei legali di tutelare in tutte le sedi opportune la mia onorabilità personale, quella del mio ruolo di sacerdote e quella di Habeshia, l’agenzia che ho fondato e con la quale collaborano persone assolutamente disinteressate e a titolo totalmente volontario.»



Va ricordato anche che Padre Mussie Zerai, già all'inizio del 2017 commentando le prime mosse del ministro dell'Interno Minniti, aveva ampiamente compreso il cambio di direzione che il governo aveva intenzione di prendere nei confronti dei migranti, indirizzando per questo una lettera al ministro dell'Interno di cui, di seguito, si riportano alcuni passaggi.

«Viene da pensare che lei abbia subito e perfettamente sposato, anzi, accentuato, la politica di respingimento adottata finora dall’Unione Europea e dall’Italia nei confronti dei richiedenti asilo e dei migranti.

Non ci può essere altra conclusione a giudicare dalle decisioni che, annunciando una “stagione di tolleranza zero”, ha preso il 30 dicembre – in chiusura dell’anno, quasi a sottolinearne l’urgenza – di riaprire e moltiplicare i centri di espulsione (Cie) e di allontanare dal Paese gli stranieri “irregolari”.

Stando a quanto ha riferito la stampa, il provvedimento è già operativo, come si evince dalla circolare con cui il capo della polizia, il prefetto Gabrielli, ha impartito le disposizioni per “conferire il massimo impulso all’attività di rintraccio dei cittadini dei Paesi terzi” in vista, appunto, dell’espulsione.

Non si tratterebbe – hanno spiegato, secondo i media, fonti del Viminale – di aumentare semplicemente “la pressione della polizia” ma, in sostanza, di “gestire” il problema, prendendo atto che “la strada che porta alla piena accoglienza e a politiche di inclusione dei migranti regolari non possa che passare necessariamente attraverso prassi di respingimento efficaci e credibili nei confronti degli irregolari”.

In teoria, questo discorso non fa una piega: chi non ha diritto all’accoglienza non può restare. Ma in base a che cosa si stabilisce chi è “irregolare” e chi no? E’ proprio qui il punto. Lei non ha detto una sola parola sui criteri per individuare chi ha diritto di restare.

Meno che mai ha richiamato il diritto internazionale e la Convenzione di Ginevra: ovvero, il principio irrinunciabile che le richieste di asilo vengano esaminate caso per caso, tenendo conto delle storie individuali. Va da sé, allora, che si continuerà ad adottare la “scelta per nazionalità”, come si è fatto finora e come ha ribadito di recente Dimitris Avramopoulos, il commissario Ue per l’immigrazione.

In sostanza, cioè, vengono accolti come rifugiati soltanto i siriani e gli eritrei. Tutti gli altri no. Dopo l’accordo-ricatto di qualche settimana fa, neanche gli afghani, perché Kabul è stata costretta ad accettare il rimpatrio di almeno 80 mila rifugiati in cambio di 3,5 miliardi di euro per lo sviluppo, un contributo promesso da tempo ma che sarebbe stato bloccato in caso di mancato accordo sul rientro dei profughi.

[...]

Viene da pensare, in altri termini, che di fronte a una catastrofe umanitaria senza precedenti come i milioni di profughi che continuano a registrarsi in tutto il mondo e in particolare nel bacino del Mediterraneo, il Viminale, abbia scelto di nuovo la via più semplice: scaricare tutto sui più deboli, i profughi stessi, senza ascoltarne la voce e senza rispettarne i diritti.

La stessa via che ha prodotto in questi anni sofferenze inumane ed ha trasformato il nostro mare in un cimitero, con oltre 13 mila morti solo dal 2014 a oggi. Nella più perfetta continuità con la politica “emergenziale” e con la mentalità essenzialmente “securitaria” seguite finora – che tra l’altro hanno contribuito ad alimentare non di rado l’equazione immigrazione uguale terrorismo – e senza minimamente provare, invece, soluzioni alternative, certo non facili ma sicuramente percorribili.

L’unica, vera soluzione è senza dubbio quella di eliminare alla fonte, nei paesi d’origine, le cause che costringono tanti giovani a fuggire. Papa Francesco l’ha sintetizzata proprio all’inizio del suo pontificato quando, da Lampedusa, ha lanciato l’appello ai “potenti della terra” perché ascoltino la voce degli ultimi. Perché, in altri termini, il Nord del mondo cambi la politica nei confronti del sud, ponendo al centro i diritti fondamentali dell’uomo. E’ un percorso lungo, che travalica i compiti del Viminale.

Ma intanto il Viminale, il Governo, possono fare molto. Ad esempio, un’azione energica a Bruxelles per arrivare finalmente a un sistema unico di accoglienza europeo, con quote obbligatorie, condiviso e applicato da tutti gli Stati membri della Ue; l’istituzione di vie di immigrazione legali; una riforma radicale del sistema di accoglienza italiano, naufragato sotto la valanga di decine di migliaia di posti “provvisori” nei Cas, dove i richiedenti asilo vengono immersi in un limbo senza fine, mentre restano una nettissima minoranza i percorsi di inserimento sociale previsti nella rete dello Sprar.

Di fronte alla catastrofe umanitaria che stiamo vivendo, insomma, si tratta, non di restringere ma di ampliare i criteri dell’asilo e dell’accoglienza. Il giro di vite che lei, ministro, ha proposto sui respingimenti degli “irregolari” va esattamente nella direzione opposta.»

Che le accuse a padre Mussie Zerai siano un atto di ritorsione rispetto a quanto da lui denunciato non è possibile affermarlo. Ma quanto accaduto in passato in questo paese, però, non può certo impedire, quantomeno, di ipotizzarlo. In fondo... a pensar male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Lo ha detto pure Andreotti!