Forse mai prima d'ora era stata così alta la tensione fra Stati Uniti ed Arabia Saudita, il loro più stretto alleato, dopo Israele, nello scacchiere mediorientale. Il motivo è l'eventualità dell'approvazione da parte del Congresso di un disegno di legge che darebbe il via libera alla denunce sporte dai familiari delle vittime dell'11 settembre contro membri della famiglia reale saudita e banche del paese arabo, colpevoli, secondo le accuse, di sostenere finanziariamente le organizzazioni terroristiche.

Oggi, grazie ad una legge entrata in vigore nel 1976, i paesi stranieri godono di immunità e non possono essere sottoposti a procedimenti giudiziari nei tribunali americani. Il disegno di legge, che gode di una maggioranza trasversale, appoggiato com'è sia da esponenti repubblicani, come il senatore Ted Cruz, in corsa per la nomination alle elezioni presidenziali, che democratici, come il senatore dello stato di New York, Chuck Schumer, toglierebbe questa immunità nel caso di attacchi terroristici compiuti sul suolo americano, che causino la morte di cittadini statunitensi.

Questo farebbe sì che fossero nuovamente ripresi in esame i fatti che portarono al crollo delle torri gemelle, in merito ai quali sono spesso circolati forti sospetti di un coinvolgimento, a vari livelli, dei vertici sauditi. Il rapporto della commissione di indagine sull'11 settembre sostiene che non ci sono prove che il governo saudita come tale o suoi alti esponenti, privatamente, abbiano finanziato al-Qaida. Questo, però non escluderebbe il coinvolgimento di livelli più bassi dell'amministrazione saudita. Del resto, un'indagine congressuale del 2002, non ancora resa pubblica, conterrebbe prove del fatto che esponenti del paese arabo, che al tempo vivevano negli Stati Uniti, avrebbero svolto un ruolo nell'attentato.

I Sauditi hanno già iniziato la loro opera di dissuasione, utilizzando il loro strumento più efficace, quello economico-finanziario. Il loro ministro degli Esteri, Adel al-Jubeir, il mese scorso, durante un viaggio a Washington, ha fatto sapere che l'Arabia Saudita sarebbe costretta a vendere buoni del Tesoro americani ed altri beni che possiede negli Stati Uniti, nel timore che, approvata la legge, questi possano essere congelati. Si parla di un valore totale che si aggirerebbe intorno ai 750 miliardi di dollari.

Molti analisti ritengono che si tratti di una vuota minaccia e che questo non potrà mai accadere, sia perché non sarebbe tecnicamente fattibile, sia perché una mossa del genere provocherebbe un indebolimento del dollaro, cui è legata la valuta dell'Arabia Saudita, che finirebbe così per farsi del male da sola.

L'amministrazione Obama sta tentando con ogni mezzo di impedire l'approvazione della legge, nel timore che costituisca un terribile precedente e che paesi stranieri possano prendere provvedimenti analoghi e mettere a rischio, dal punto di vista legale, cittadini, aziende, militari ed esponenti politici statunitensi all'estero, come ha sostenuto il segretario di Stato, John Kerry, in un'audizione al Senato.

E' probabile che la questione sia al centro dei colloqui che il presidente Obama avrà con il re Salman ed altre autorità del paese saudita, nel corso della sua visita a Riad, mercoledì prossimo.