«In nessun altro Paese d’Europa è richiesto uno sforzo fiscale simile. Nonostante la giustizia civile sia lentissima, il credito venga concesso con il contagocce, la burocrazia abbia raggiunto livelli ormai insopportabili, la Pubblica amministrazione rimanga la peggiore pagatrice d’Europa e il sistema logistico-infrastrutturale registri dei ritardi spaventosi, il peso del fisco sulle aziende rimane ancora troppo elevato». 

Questo è quanto afferma il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo in uno studio, pubblicato questa mattina dalla CGIA di Mestre, dal titolo Le imprese pagano 97 miliardi di tasse l'anno.

Il dato riportato nel titolo si riferisce all'ultimo gettito fiscale attualmente disponibile e riguarda l'anno 2014. La somma di 97 miliardi deriva dal gettito Ires (31 miliardi), da quello Irpef (23,5 miliardi), da quello Irap (20,9 miliardi) e dai tributi locali (oltre 13 miliardi),  mentre è escluso il gettito, perché non calcolabile con esattezza, relativo a tassa sui rifiuti, all'imposta di registro, all’imposta di bollo, al canone Rai, alle concessioni governative  e ai contributi delle concessioni edilizie.

Le imprese italiane hanno pagato comunque meno rispetto al 2007, l'ultimo anno prima della crisi. Circa 19 miliardi! Una cifra considerevole, ma che non è dovuta ad una riduzione consistente e razionale del prelievo fiscale, che invece è aumentato, ma solo grazie al fatto che la crisi ha diminuito il numero di imprese ed il fatturato di quelle ancora attive.

Il segretario della CGIA Renato Mason riconosce che «nel 2015 c’è stato un ulteriore alleggerimento dell’Irap e nel  2016  è stata eliminata l’Imu sugli imbullonati ed è previsto uno sconto fiscale per chi investe», aggiungendo però che  «è  evidente  che  le politiche fin qui adottate hanno sortito dei risultati molto modesti». 
Infatti, bisogna tener conto che la crescita economica è ancora molto fragile, rapporto debito PIL è superiore al 130% ed il numero di disoccupati è di circa un milione e mezzo.

La ricetta per ovviare a questa situazione è quella che periodicamente viene ripetuta, ma non attuata: investimenti e riduzione della pressione fiscale su cittadini ed imprese. Solo così potranno crescere la domanda interna e l'occupazione.

Rispetto alla ricetta indicata questo è invece quanto è accaduto dal 2007 al 2015. Il Pil è  diminuito di quasi  140  miliardi  di  euro  (-8,3%); le famiglie hanno ridotto i consumi di quasi 62,5 miliardi (-6,3%); gli  investimenti sono crollati di quasi 110  miliardi (-29,8%) e i prestiti bancari alle imprese sono scesi di 18 miliardi (anche se rispetto al punto più  alto, toccato nel dicembre 2011,  la contrazione è stata di ben 109 miliardi di euro).
L'unico dato cresciuto è stato il tasso di disoccupazione che è quasi raddoppiato, passando da circa il 6% al quasi 12%.