Il presidente colombiano Juan Manuel Santos, insignito pochi giorni fa del premio Nobel per la pace, è stato mai veramente intenzionato a raggiungere un accordo con le FARC, oppure il negoziato con i ribelli è stata tutta una farsa?

I dubbi sono legittimi. Innanzitutto, in molti si chiedono perché Santos abbia deciso di indire un referendum confermativo, quando non ce n'era assolutamente motivo e il risultato non sarebbe stato, in ogni caso, vincolante.

Il no al trattato di pace con le FARC ha vinto di strettissima misura, appena dello 0,43%, con una partecipazione al voto inferiore al 40%. Un esito in netto contrasto con i sondaggi della vigilia che davano una vittoria schiacciante del sì, al pari degli exit poll.

Molti hanno attribuito la vittoria del no al voto di quanti avevano maggiormente sofferto delle conseguenze della guerra civile e non approvavano le concessioni fatte ai ribelli (immunità per i crimini commessi o, al massimo, pene molto lievi, mai comunque il carcere, e posti assicurati in parlamento). Eppure, nel Choco, una delle regioni più martoriate del paese, il sì ha vinto con una maggioranza dell'80%. Con un risultato come questo perché nessuno ha chiesto un riconteggio dei voti?


Strano, per non dire sospetto, il fatto che Santos e l'ex-presidente Alvaro Uribe (a destra, nella foto) si siano schierati su fronti opposti, con quest'ultimo che si è attivamente impegnato in una campagna per il no, incentrata sulle concessioni ai ribelli.

Santos e Uribe appartengono alla stessa area politica. Santos è stato ministro della Difesa dal 2006, durante il secondo mandato di Uribe, e di lui si ricordano le dure posizioni contro i guerriglieri delle FARC. La sua elezione a presidente nel 2010 la deve a una coalizione di partiti di destra, noti in Colombia come "Urbistas" .

Per qual motivo ora i due uomini politici hanno assunti atteggiamenti diversi nei confronti del negoziato? E' quantomeno insolito.

Ma allora quale potrebbe essere stata la strategia dietro un'operazione come questa? Beh, i quattro anni di trattative con le FARC hanno garantito un periodo di sostanziale tregua e la firma dell'accordo ha fatto sì che i guerriglieri, in buona fede, lo rispettassero e consegnassero le armi. Quindi, un'operazione di immagine volta a indebolire l'avversario, per sconfiggerlo più facilmente.

Non bisogna dimenticare, poi, i legami fra il governo colombiano e gli Stai Uniti, con Obama che ha definito la Colombia il "cortile" dell'America. E' improbabile che il governo Usa, che ha sette basi militari in Colombia, possa sentirsi tranquillo nel consentire a ex-guerriglieri comunisti, che hanno combattuto per 52 anni per i diritti delle classi povere e per la democrazia, di essere rappresentati in parlamento, con il rischio che possono acquistare consensi e finire per governare il paese.



Per gli Stati Uniti, la Colombia rappresenta un asset strategico in America Latina, confinante com'è con paesi non allineati come l'Ecuador ed il Venezuela. E' da lì che vogliono riconquistare l'intera regione.

Del resto, questo è quanto è scritto nero su bianco in un documento dell'US Air Force, inmerito all'uso delle basi militari colombiane:

"L'opportunità per operazioni a largo spettro in tutto il Sud America contro le minacce derivanti non solo dal traffico di droga, ma anche da governi anti-Usa nella regione."

e, inoltre

"L'accordo opera nello stesso ambito che ha dato vita alla School of the Americas. Lo scopo delle basi è quello di assicurare il controllo Usa della regioni con mezzi militari."