È stato per primo il New York Times a lanciare la notizia delle dimissioni di Travis Kalanick, cofondatore di Uber, dalla carica di amministratore delegato della società.

Indiscrezione confermata poi da una dichiarazione dello stesso Kalanick, che comunque continuerà a far parte del consiglio d'amministrazione, che ha detto: "Amo Uber più di ogni altra cosa nel mondo e in questo momento difficile della mia vita personale ho accettato la richiesta degli investitori di fare un passo indietro, in modo che Uber possa tornare a costruire piuttosto che essere distratta da un'altra lotta".

La decisione di Kalanick arriva dopo la morte recente di sua madre, a seguito di un incidente in cui anche suo padre è rimasto gravemente ferito. Una decisione dettata dunque da motivi di carattere personale?

Probabilmente in parte. Ma di certo non completamente. Infatti, alcuni tra i maggiori investitori di Uber - Benchmark, First Capital Round, Capital Minolta, Menlo Ventures e Fidelity Investments - hanno fatto pressioni su Kalanick affinché si ritirasse.

Il motivo, oltre ai non brillanti risultati in termini di ritorni economici, deriverebbe dai risultati di un'inchiesta interna condotta dall'ex capo del Dipartimento della Giustizia Eric Holder, assunto per valutare ambiente e metodi di lavoro di Uber dopo che una ex impiegata aveva accusato l'azienda di non prendere provvedimenti contro atti di molestia sessuale.

Ad oggi Uber è un'azienda che, sebbene non sia ancora stata quotata in borsa è stata valutata 68 miliardi di dollari, ed è indicata tra le più le innovative startup di Silicon Valley.