Il 21 giugno, la Corte di Giustizia europea ha emesso una sentenza secondo cui, in mancanza di consenso scientifico, il difetto di un vaccino e il nesso di causalità tra il medesimo e una malattia possono essere provati con un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti, stabilendo che la prossimità temporale tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza di una malattia, l’assenza di precedenti medici personali e familiari della persona vaccinata e l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni possono eventualmente costituire indizi sufficienti a formare una simile prova.

La causa nasce dalla vicenda del sig. W a cui, tra la fine dell’anno 1998 e la metà dell’anno 1999, viene somministrato un vaccino contro l’epatite B prodotto dalla Sanofi Pasteur. Fino ad allora il sig. W aveva goduto di ottima salute, ma a partire dall’agosto 1999, il sig. W inizia a manifestare disturbi di vario tipo che, nel novembre 2000, portano imedici a diagnosticargli una sclerosi multipla.

Il sig. W muore nel 2011. Nel 2006, insieme alla sua famiglia, il sig. W promuove un’azione giudiziaria contro la Sanofi Pasteur a risarcimento del danno che lui affermava di aver subito a causa del vaccino.

La Corte d’appello di Parigi, chiamata a pronunciarsi sulla controversia, dichiarato che non vi è consenso scientifico a favore dell’esistenza di un nesso di causalità tra la vaccinazione contro l’epatite B e l’insorgenza della sclerosi multipla e nega la richiesta di risarcimento.

La sentenza viene impugnata presso la Corte di cassazione (in Francia) che, a sua volta, si rivolge alla Corte di giustizia per avere chiarimenti su quale sia il corretto modo di procedere nel giudicare la causa, ponendo il seguente quesito: nonostante l’assenza di consenso scientifico e tenuto conto del fatto che, secondo la direttiva dell’Unione sulla responsabilità per danno da prodotti difettosi, spetta al danneggiato provare il danno, il difetto e il nesso di causalità, può il giudice basarsi su indizi gravi, precisi e concordanti per ravvisare il difetto del vaccino e il nesso di causalità tra il vaccino e la malattia?

Nel caso di specie, viene fatto riferimento, in particolare, alle eccellenti condizioni di salute pregresse del sig. W, alla mancanza di precedenti familiari e al collegamento temporale tra la vaccinazione e la comparsa della malattia.

Con la sentenza publicata il 21 giugno, la Corte considera compatibile con la direttiva un regime probatorio che autorizza il giudice, in mancanza di prove certe e inconfutabili, a concludere che sussistano un difetto del vaccino e un nesso di causalità tra quest’ultimo e una malattia sulla base di un complesso di indizi gravi, precisi e concordanti, qualora tale complesso di indizi gli consenta di ritenere, con un grado sufficientemente elevato di probabilità, che una simile conclusione corrisponda alla realtà.

Interessante è anche la successiva deliberazione della Corte che afferma che escludere qualunque modalità di prova diversa dalla prova certa tratta dalla ricerca medica avrebbe l’effetto di rendere eccessivamente difficile o, quando la ricerca medica non permette di stabilire né di escludere l’esistenza di un nesso di causalità, addirittura impossibile far valere la responsabilità del produttore, il che comprometterebbe l’effetto utile della direttiva nonché i suoi obiettivi (ossia tutelare la sicurezza e la salute dei consumatori e garantire una giusta ripartizione dei rischi inerenti alla produzione tecnica moderna tra il danneggiato e il produttore).

Naturalmente la Corte tiene a sottolineare che tali affermazioni non implichino che il produttore non possa portare prove a propria discolpa e che queste non debbano essere accettatte, ma nella causa discussa, la Corte rileva che la prossimità temporale tra la somministrazione di un vaccino e l’insorgenza di una malattia, la mancanza di precedenti medici personali e familiari correlati a detta malattia, nonché l’esistenza di un numero significativo di casi repertoriati di comparsa di tale malattia a seguito di simili somministrazioni sembrano, a prima vista, costituire indizi la cui compresenza potrebbe indurre un giudice nazionale a concludere che il danneggiato ha assolto l’onere della prova su di lui gravante.

Così potrebbe essere, in particolare, nel caso in cui detti indizi conducano il giudice a ritenere, da un lato, che la somministrazione del vaccino costituisca la spiegazione più plausibile dell’insorgenza della malattia e, dall’altro, che tale vaccino non offra quindi la sicurezza che ci si può legittimamente attendere.

Una sentenza che sicuramente farà inorridire molte case farmaceutiche che producono e distribuiscono vaccini nei paesi dell'Unione. E tale sentenza dovrebbe far suonare qualche campanello di allarme in Italia anche dalle parti del ministero della Salute, considerata la nuova direttiva voluta dalla ministra Lorenzin che obbliga alla vaccinazione tutti i ragazzi da zero anni in su che debbano frequentare asili e scuole.

Naturalmente, nessuno afferma che i vaccini facciano male, ma la sentenza sopra riportata può fare anche ritenere che a qualcuno i vaccini potrebbero anche far male. Nella "foga vaccinale" che l'ha animata, la ministra Lorenzin ha dimenticato che l'obbligatorietà della vaccinazione non prevede che questa includa anche una valutazione del quadro clinico del vaccinando e della possibilità che, in base alle valutazioni di un medico, un bambino possa o debba essere escluso dall'obbligatorietà di essere vaccinato.

In fondo esiste ancora il principio di precauzione e perché non tenerne conto? Infine, se qualcuno spera di leggere un parere del ministero della Salute sulla sentenza emessa dalla Corte di Giustizia europea, per il momento non è ancora stato diffuso.