Oltre ad aver criticato nel metodo e nel merito la riforma costituzionale, minacciando di non votarla se la legge elettorale non verrà modificata, Pierluigi Bersani, ieri, in un'intervista a il Fatto Quotidiano ha criticato anche la linea tenuta finora dal Governo Renzi, ma è più corretto dire da Matteo Renzi e dal suo Governo.

Facendo una fotografia al paese, Bersani dice che «abbiamo perso pezzi di industria. Da 10 anni siamo sotto la media europea del Pil pro capite. La produttività non cresce. Si allarga la forbice dei redditi fra ricchi e poveri, nord e sud, vecchi e giovani. Cresciamo la metà dell'Europa. Le banche sono indotte a non mettersi a disposizione dell'industria ma a servire loro stesse, e a drenare il risparmio di cittadini che, tra l'altro, si sentono indifesi dalle prepotenze. Pare che serva la laurea in economia per entrare in banca. Il nostro sistema industriale non vede chiara la prospettiva, si indebita solo a breve termine, quindi non investe sul futuro. I consumi balbettano, la spesa alimentare si contrae. [...] Decidiamo il ruolo futuro dell'Italia. Il Made in Italy non può essere solo la moda o il cibo di qualità. È un saper fare in tutti i settori. Non possiamo certo rinunciare alla siderurgia o alla chimica o all'automotive. Bisogna pensare a cosa fare in 10 anni, non in 10 mesi. Il governo chiami i sindacati, le imprese, le banche e proponga un patto per il lavoro e la produttività.»

Ed a Bersani non è piaciuto neppure il Jobs Act che, a differenza delle dichiarazioni inziali, non ha prodotto alcun rilancio, né sul numero di occupati, né sull'economia: «Non avremo lavoro vero se non affrontiamo la questione degli investimenti. Oggi abbiamo meno contratti a tempo indeterminato che nel 2014. In compenso va forte il voucher, un mini-job all'italiana che accentua la precarizzazione del lavoro. Purtroppo in Italia piacciono norme che consentono comportamenti opportunistici. [...] Il Jobs act ci ha dato l'amara conferma che il problema non era l'articolo 18. L'Idea che ciò che fa bene all'impresa fa bene all'Italia è scivolosa. La Fiat non può dirci che cosa dobbiamo fare e pagare le tasse all'estero. Dia consigli dove paga le tasse. Vorrei vedere che cosa direbbe la cancelliera Merkel se Marchionne pagasse le tasse all'estero.»

Inoltre, l'ex segretario del PD ha messo pure il carico da 11 sulle accuse, spesso provenienti dai 5 Stelle, che vogliono Renzi succube dei desiderata delle lobby: «I 10 o 15 che contano nel capitalismo italiano si stanno aggiustando le cose loro, chiedono solo che il Governo sia amichevole e, se capita, lo applaudono e si fanno applaudire. Poi hanno i giornali e c'è lo scambio, succedono cose che non sono potabili.»

C'è una strada per uscire dalla situazione in cui si trova l'Italia? Per Bersani è necessario cambiare obbiettivi: «Flessibilità? Ce ne vorrebbe tanta, ma spesso sbagliamo la mira, per esempio nel cercare un rapporto diciamo così maschio con l'Europa. Il governatore della Bundesbank Jens Weidmann ha torto su tutto fuorché quando afferma che non possiamo dire all'Europa che i nostri bilanci ce li facciamo noi e poi chiedere mutualità sul debito pubblico. Fa bene il Governo a battere i pugni sul tavolo a Bruxelles, ma anziché sulla flessibilità da 2-3 miliardi di deficit dovevamo farlo sulle banche.»

Le parole di Bersani, purtroppo per Renzi, non sono frutto di una critica basata sul livore e la propaganda, ma fanno riferimento all'evidenza dei fatti, che è innegabile. Ma le posizioni di rendita, seppur mascherate in una presunta opposizione, sono troppo importanti ed economicamente irrinunciabili anche per la minoranza dem che si è rifiutata di commentare e di rilanciare le parole dell'ex segretario PD.

Sull'altro versante, invece, ci ha pensato l'Unità a cercare di arginare le critiche pubblicando un articolo sul quotidiano online dal titolo "Bersani, ma che ti succede? I suoi ex sostenitori ci scrivono perplessi" corredato da un sottotitolo che afferma: "Continuiamo a ricevere email di ex bersaniani delusi dagli attacchi mossi negli ultimi tempi contro il governo e Renzi".

Tanta è la voglia di essere accondiscendenti nei confronti del padrone del partito, che all'Unità non si rendono neppure conto che riescono a ridicolizzarsi da soli. Infatti, perché ex sostenitori di Bersani dovrebbero essere delusi da Bersani se già non lo seguivano più, essendo per l'appunto ex?

Nell'articolo vengono poi riportati commenti tra il deluso e l'indignato nei confronti di Bersani accusato di non si sa bene quale reato oltre l'aver osato argomentare contro il segretario presidente, il dott. Matteo Renzi. Peccato, perché se avessero spiegato che cosa Bersani, finora, abbia detto di illogico, ingeneroso, insensato e sbagliato sarebbe stato un utile contributo al dibattito e, magari, uno spunto di riflessione anche per coloro che condividono le posizioni di Bersani. Ma l'Unità e i sostenitori di Renzi non ce lo hanno fatto sapere.

Ma Bersani è così isolato? Forse no, almeno in coloro che realmente hanno seguito e votato PD in tutte le sue trasformazioni. Lo spiega Sabrina Ferilli in un'intervista di stamani a Il Fatto Quotidiano, rilanciata dall'Huffington Post, in cui afferma "Disobbedisco al Pd: voto Virginia Raggi": «E alla fine mi son detta: ma non sarà il caso di provare a votare questa ragazzetta esile, dalla faccia pulita, che fa per nome Virginia Raggi? Per la prima volta disobbedisco: non mi va giù questo partito della Nazione.»

Ed il punto è proprio questo. Può il Partito della Nazione, non annunciato ma già nei fatti nato e consacrato, continuare a rappresentare la sinistra o una parte di essa? Molti di coloro che votavano PD, al di là delle battute di Renzi, delle esternazioni dei suoi fidati guardaspalle e del silenzio compiacente dei media, hanno già iniziato a dare la loro risposta.