Nella folta schiera di scrittori che anima il palinsesto culturale italiano, poche sono - e soprattutto erano nei primi anni del '900 - le firme femminili.

Tra tutte, un nome rimane scolpito per sempre nei nostri annali, quello di Grazia Deledda, autrice sarda ed insignita nel 1926 del Premio Nobel per la letterature.

Questa la motivazione dell'ambito riconoscimento:

« Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano. »

LA DELEDDA OLTRE IL VERISMO

La Deledda, schiva per natura con una vita tranquilla e scevra da qualsiasi "gossip" - come usiamo definire oggi il pettegolezzo - inizia giovanissima a scrivere, pubblicando racconti  fin dai suoi 17 anni.

Cosa inusitata all'epoca (siamo nel 1888), quando spesso le firme femminili dovevano essere camuffate, apparire maschili, se non in qualche raro caso per pezzi che oggi potremmo ricondurre alla "letteratura rosa".

La Deledda di "rosa" non aveva proprio niente: aveva invece il raro dono di fotografare la realtà (e soprattutto la realtà del suo luogo natio, notoriamente espressione di una vera e propria cultura a se' stante) con la puntualità e la concisione tipica del verismo.

La cristallizzazione quasi iconografica di una realtà dura, difficile, di cui è lei stessa a raccontarci l'ispirazione:

« Intendo ricordare la Sardegna della mia fanciullezza, ma soprattutto la saggezza profonda ed autentica, il modo di pensare e di vivere, quasi religioso di certi vecchi pastori e contadini sardi (...) nonostante la loro assoluta mancanza di cultura, fa credere ad una abitudine atavica di pensiero e di contemplazione superiore della vita e delle cose di là della vita. Da alcuni di questi vecchi ho appreso verità e cognizioni che nessun libro mi ha rivelato più limpide e consolanti. Sono le grandi verità fondamentali che i primi abitatori della terra dovettero scavare da loro stessi, maestri e scolari a un tempo, al cospetto dei grandiosi arcani della natura e del cuore umano... »

(

Discoteca di Stato: parole registrate nella serie "La Voce dei Grandi", anche in "Il Convegno", Omaggio alla Deledda (N. Valle), 1959 .

)

La Deledda compie quell'atto meraviglioso - proprio solo dei grandi artisti - di "andare oltre" la corrente del Verismo, cui pure si è ispirata e che permeava la nostra cultura dell'epoca, grazie soprattutto agli scritti del Verga.

Nulla meglio delle parole del Sapegno per definire la scrittura della Deledda: "Ma da un'adesione profonda ai canoni del verismo troppe cose la distolgono, a cominciare dalla natura intimamente lirica e autobiografica dell'ispirazione, per cui le rappresentazioni ambientali diventano trasfigurazioni di un'assorta memoria e le vicende e i personaggi proiezioni di una vita sognata. A dare alle cose e alle persone un risalto fermo e lucido, una illusione perentoria di oggettività, le manca proprio quell'atteggiamento di stacco iniziale che è nel Verga; ma anche nel Capuana e nel De Roberto, nel Pratesi e nello Zena."

Una produzione intensa e prolifica, e nella rosa dei suoi romanzi molti hanno ispirato (anche più di una volta) numerosi registi, che hanno dato un volto ed un corpo ai suoi personaggi in film di successo.