Due rapporti, pubblicati sabato 7 ottobre, ci illustrano la situazione reale dell'economia italiana e di quanto le sue fondamenta siano costruite non sul cemento ma direttamente sulla terra, mista a fango e sabbia.

Uno ci è fornito dalla Cgia di Mestre in relazione al reddito da lavoro autonomo, l'altro è realizzato dalla Fondazione Di Vittorio e riguarda la tipologia dei contratti di lavoro.

Cominciamo da quest'ultimo. Per capirne il succo, è sufficiente riportarne l'incipit: "L’uscita mensile dei dati della rilevazione sulle forze di lavoro conferma, per il terzo mese consecutivo, l’occupazione complessiva vicina ai livelli del 2008.

Il risultato è stato ottenuto grazie ad un sostanziale pareggio dell’occupazione a tempo indeterminato e dal balzo in avanti del lavoro dipendente a termine, che è arrivato di nell’agosto 2017 a toccare quota 2,8 milioni, 650 mila in più rispetto ai minimi del 2013 e circa 750 mila nei confronti dell’altro punto di minimo a metà 2010.

La crescita del lavoro temporaneo ha compensato l’emorragia di quello indipendente, che prosegue in un calo precedente alla crisi e che ha portato dal 2004 una flessione di quasi 900 mila unità. Ciononostante, l’incidenza del lavoro indipendente italiana resta, nel secondo trimestre del 2017, con il 24,2%, la più elevata nell’Eurozona dopo quella greca [Fonte: EUROSTAT, National accounts].

Aumenta in modo sostanziale la quota relativa del tempo determinato, che dal 9,9% del 2008 arriva dopo la flessione della prima fase della crisi, quella del 2012-13 e quella del 2015 legata agli effetti dell’esonero contributivo all’11,6% nei primi 8 mesi del 2017 (ben il 15,7% sui lavoratori dipendenti nel mese di agosto 2017).

L’entità del calo dal lavoro indipendente, che dal 25,5% del 2008 passa 23,4% dei primi 8 mesi del 2017 è all’incirca dello stesso ordine di grandezza. Il tempo indeterminato conosce, in termini di incidenza, un modesto incremento tra il 2008 ed il 2017 (+0,4%)."

E questi dati, secondo le logiche dell'attuale Governo ed in particolar modo di quello precedente, dovrebbero dimostrare la bontà di quanto fatto finora nel riformare il mercato del lavoro, in particolar modo a partire dal febbraio del 2014!

Ma c'è un altro dato "drammatico" che la Fondazione Di Vittorio sottolinea nel suo rapporto: il fatto che alla crescita degli occupati non corrisponde, come avveniva fino al 2008, un'analoga crescita dei posti di lavoro standard e delle ore lavorate.

Qual è la conseguenza di ciò? Semplicemente che il lavoro che si è generato in questi mesi è saltuario, precario, povero e, per questo motivo, non riesce a migliorare la qualità della vita delle persone.

 

Ma anche la situazione dei lavoratori indipendenti non è migliore. I dati presentati dall’Ufficio studi della CGIA ci dicono che "la crisi ha colpito soprattutto le famiglie del cosiddetto popolo delle partite Iva: ovvero dei piccoli imprenditori, degli artigiani, dei commercianti, dei liberi professionisti e dei soci di cooperative. Il ceto medio produttivo, insomma, ha pagato più degli altri gli effetti negativi della crisi e ancora oggi fatica adagganciare la ripresa."

Oltre a questo, come fa notare il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo, «a differenza dei lavoratori subordinati, quando un autonomo chiude definitivamente, l’attività non dispone di alcuna misura di sostegno al reddito.

Perso il lavoro ci si rimette in gioco e si va alla ricerca di una nuova occupazione. In questi ultimi anni, purtroppo, non è stato facile trovarne un altro: spesso l’età non più giovanissima e le difficoltà del momento hanno costituito una barriera invalicabile al reinserimento, spingendo queste persone verso forme di lavoro completamente in nero.

Fino ad una decina di anni fa aprire una partita Iva era il raggiungimento di un sogno: un vero status symbol. L’opinione pubblica collocava questo neoimprenditore tra le classi socio-economiche più elevate.

Oggi, invece, non è più così: per un giovane, in particolar modo, l’apertura della partita Iva spesso è vissuta come un ripiego o, peggio ancora, come un espediente che un committente gli impone per evitare di assumerlo come dipendente.»

In questo scenario, il reddito delle famiglie che ha come fonte principale un reddito da lavoro autonomo ha subito dal 2008 al 2014 una "sforbiciata" di oltre 6.500 euro (-15,4 per cento).