C'è attesa in Gran Bretagna per la pubblicazione mercoledì prossimo, 6 luglio, del rapporto Chilcot, contenente le conclusioni di un'inchiesta sulla guerra in Iraq, sulle modalità con cui fu deciso l'intervento da parte dell'allora primo ministro Tony Blair e sul comportamento dell'esercito britannico sul campo.

L'inchiesta fu avviata sette anni fa sotto il governo di Gordon Brown, ufficialmente per analizzare i fatti che portarono all'offensiva irachena e le modalità con cui furono condotte le operazioni militari. In realtà, anche per placare l'opinione pubblica, sempre più convinta del fatto che Tony Blair abbia consapevolmente ingannato il parlamento, fornendo informazioni false allo scopo di ottenere l'autorizzazione all'intervento. A capo della commissione d'inchiesta fu nominato sir John Chilcot, una lunga carriera come funzionario nella pubblica amministrazione e membro del Privy Council, il selezionatissimo gruppo di consiglieri di sua maestà la regina.

Molte le polemiche che circondano la pubblicazione del corposo resoconto dell'inchiesta (già si sa che 2 milioni e 600 mila sono le parole in esso contenute). Innanzitutto ci si chiede perché un'indagine che sarebbe dovuta durare al massimo due anni, ne avvia richiesti ben sette, ma soprattutto quanta parte della corrispondenza e dei colloqui intercorsi fra Tony Blair e George Bush sarà resa pubblica.

Infatti, sebbene l'inchiesta non esprimerà nessun parere in merito alla legalità o meno dell'intervento britannico, da essa ci si aspettano elementi che consentano di capire se Tony Blair abbia detto o meno la verità al popolo britannico in merito alle motivazioni della guerra in Iraq o abbia consapevolmente mentito.

Secondo Philippe Sands, autore di un libro sulla guerra in Iraq, una cartina di tornasole sull'attendibilità del rapporto sarà quello che vi sarà scritto in merito all'incontro fra Bush e Blair avvenuto il 31 gennaio del 2003 e al termine del quale il primo ministro dichiarò ai giornalisti che nessuna decisione era stata presa in merito all'intervento, cosa che ribadì pochi giorni dopo anche in parlamento. Ma da una nota dell'allora ambasciatore britannico negli Stati Uniti, David Manning, pubblicata nel libro di Sand risulta che Bush informò Blair, da cui ricevette il pieno appoggio, che i bombardamenti avrebbero avuto inizio nel successivo mese di marzo.

Alcuni come Alex Salmond, già a capo del Partito Nazionale Scozzese, sono convinti che il rapporto Chilcot dimostrerà che Blair aveva già concordato l'invasione nel 2002 durante un incontro privato con Bush, avvenuto nel ranch di quest'ultimo, a Crawford nel Texas.

Ma il punto chiave resta il fatto che la decisione di dichiarare guerra all'Iraq fu motivata dalla presenza nel paese medio-orientale di armi di distruzione di massa, cosa poi risultata platealmente falsa. Bush e Blair mentirono consapevolmente? Sembrerebbe di sì.

Già nel 1995, Hussein Kamel, un ufficiale dell'esercito iracheno che decise di disertare, riferì agli ispettori delle Nazioni Unite, alla CIA ed ai servizi segreti britannici, che dopo la guerra del Golfo del 1990 l'Iraq aveva distrutto tutte le riserve di armi chimiche e biologiche, ancora in suo possesso. Paradossalmente, nei mesi subito precedenti all'invasione, questa testimonianza fu usata da esponenti dell'amministrazione Bush per dimostrare che l'Iraq disponeva ancora di armi di distruzione di massa e, allo stesso scopo, fu citata da Blair nel suo intervento in parlamento. Lo stesso Blair, richiesto di rendere pubblica la testimonianza di Kamel, ammise di non essere in possesso del verbale.

Esiste anche una dichiarazione in cui Hans Blix, il capo degli ispettori ONU incaricati di trovare le prove dell'esistenza di armi di distruzione di massa, afferma che il governo Blair non illustrò correttamente l'attività degli ispettori allo scopo di ottenere l'autorizzazione all'intervento che altrimenti gli sarebbe stata negata.

La guerra in Iraq ha causato in quattro anni la morte di un numero imprecisato di iracheni (fra 150 mila e 600 mila) e ha creato una situazione di instabilità nell'area medio-orientale che sta ancora provocando morte e distruzione. Di quanto sarebbe accaduto con la rimozione di Saddam Hussein e, in particolare, del conflitto che sarebbe esploso fra sunniti e sciiti, Tony Blair sarebbe stato messo in guardia prima già prima della dichiarazione di guerra.

Ci potranno essere delle conseguenze per Tony Blair a seconda di quelle che saranno le conclusioni contenute nel rapporto Chilcot? E' presto per dirlo.

Di sicuro c'è che i familiari di alcuni dei 179 soldati britannici uccisi in Iraq decideranno in base ai risultati dell'inchiesta di promuovere un'azione legale nei confronti di Blair, come ha confermato Matthew Jury, un avvocato dello studio che li rappresenta. Questo per l'ex-primo ministro potrebbe voler dire dover sborsare una cifra enorme a titolo di risarcimento danni.

Si era ipotizzato anche che il rapporto Chilcot avrebbe potuto eventualmente indurre il Tribunale Internazionale dell'Aia a incriminare Tony Blair per crimini di guerra. In proposito, è arrivata però una smentita ufficiale, in cui si legge che attualmente non rientra nelle competenze del tribunale valutare la legalità o meno di dichiarazioni di guerra. Questo potrebbe cambiare in futuro, ma ovviamente ciò non avrebbe effetto retroattivo. Il tribunale, però, ha dichiarato che, se nel rapporto fossero contenuti resoconti di abusi e torture da parte dell'esercito britannico in zona di guerra, i responsabili saranno certamente perseguiti.

Alcuni parlamentari britannici di varia appartenenza stanno attendendo la pubblicazione del rapporto Chilcot per valutare l'eventualità di utilizzare una vecchia legge parlamentare che potrebbe incriminare Tony Blair per non aver rispettato i suoi obblighi costituzionali e aver portato il paese in guerra. Si tratta di una legge utilizzata per l'ultima volta nel 1806, in un caso di appropriazione indebita di fondi pubblici da parte di un ministro del partito Tory, Lord Melville. Se riconosciuto colpevole, Blair rischierebbe anche il carcere.

Forse non si arriverà a questo, ma resterà comunque a carico dell'ex-primo ministro la responsabilità morale di essere stato il complice di George Bush, nella dichiarazione di una guerra che nascondeva motivazioni diverse da quelle addotte ufficialmente e che ha provocato e continua a provocare centinaia di migliaia di morti. Che questo possa servire anche a monito di quanti, come Matteo Renzi, hanno dichiarato esplicitamente di aver preso Tony Blair a modello della loro attività politica.