La decisione del capo della FBi, Janes Comey (nella foto), di riaprire l'inchiesta sulle email di Hillary Clinton ha suscitato molte perplessità. Innanzitutto, per essere avvenuta a pochi giorni dal voto, in contrasto con quelle che sono le disposizioni del ministero della Giustizia Usa.

In secondo luogo, non sembra che la decisione sia stata presa a fronte di materiale particolarmente scottante e tale da rappresentare un sicuro elemento di incriminazione a carico della candidata democratica.

La mossa di Comey non può essere stata un'iniziativa sconsiderata, un momento di follia, una decisione presa alla leggera. Sapeva benissimo i rischi che avrebbe corso. Uno fra tutti quello di mettersi contro tutto l'establishment democratico. Ora, se vince la Clinton, la sua carriera è finita. Se ha fatto quello che ha fatto, non aveva alternative.

E allora perché la lettera al Congresso, in cui annunciava la riapertura delle indagini? Forse, perché James Comey è un repubblicano e avrebbe, così, inteso avvantaggiare Trump? Troppo semplice e ovvio. Secondo voci che circolano negli ambienti di Washington, i motivi sarebbero altri.

La mancata incriminazione di Hillary Clinton, per l'assenza di elementi sufficienti a comprovarne la colpevolezza, annunciata da Comey lo scorso luglio, non sarebbe stata ben accolta all'interno della FBI. Qualcuno ha parlato di una vera e propria rivolta.

Questo è comprensibile, dato che le responsabilità dell'ex-segretario di Stato, in termini di messa a rischio della sicurezza nazionale, sono molto evidenti. Anche volendo mettere da parte gli eccessi da campagna elettorale di Donald Trump, irregolarità nell'indagine ci sono state.

Ben quindicimila email non sono state consegnate alla FBI, probabilmente quelle che contenevano il materiale più compromettente. La Clinton si è spesso schierata dietro a dei non ricordo, a rischio di sembrare perfino poco lucida. Le testimonianze dei collaboratori valgono ben poco, trattandosi di persone su cui sono state esercitate sicuramente delle pressioni.

Ma ad indurre la FBI a non incriminare Hillary sono stati anche interventi dall'alto, in particolare dal diretto superiore di Comey, il ministro della Giustizia, Loretta Lynch. A convincere la Lynch ci aveva pensato lo stesso Bill Clinton, che, un po' a sorpresa e nell'imbarazzo generale, l'aveva quasi assalita, in occasione di un incontro casuale all'aeroporto di Phoenix, nel giugno scorso, sottolineato da tutti i media (foto sotto).

La scoperta delle nuove email in uno degli apparecchi di Anthony Weiner, dall'agosto scorso ex-marito di Huma Abedin, la collaboratrice più vicina alla Clinton, pone molti interrogativi. Perché quel telefono, o laptop che sia, è spuntato fuori solo adesso? Perché alla Abedin non è stato chiesto se c'erano altri apparecchi su cui gestiva la posta della Clinton? E, se le è stato chiesto, perché non lo ha detto?

In quest'ultimo caso, Huma Abedin rischierebbe veramente grosso, perché potrebbe essere accusata di falsa testimonianza.

James Comey deve essersi accorto di averla fatta troppo sporca nel liberare la Clinton da ogni accusa. Accortosene, deve aver deciso di porvi in qualche modo rimedio. Di qui la lettera al Congresso con la notizia della riapertura delle indagini, cosa che, teoricamente, poteva anche rimanere segreta fino a dopo le elezioni.

Questa l'ipotesi più attendibile. Ne circola, però, anche un'altra, pur se meno probabile, secondo la quale si tratterebbe di una strategia volta a far vincere la Clinton, un ultimo disperato tentativo per evitare la vittoria di Trump, che, nonostante i sondaggi fino ad oggi non favorevoli, secondo alcuni potrebbe farcela.

In base a questo scenario, nell'imminenza della scadenza elettorale Hillary sarebbe di nuovo scagionata dalla FBI e diventerebbe così, agli occhi degli elettori, la vittima di una persecuzione da parte della destra cospiratrice. Questo le farebbe inevitabilmente guadagnare consensi.

Un'ipotesi che difficilmente si potrà concretizzare, dati i tempi burocratici richiesti da un'indagine di quel tipo. Impossibile che si concluda, in un senso o nell'altro, prima delle elezioni, anche se ce ne fosse la volontà.