Quando si parla di pagamenti della pubblica amministazione, ma soprattutto di ritardi di pagamenti da parte della pubblica amministrazione, non può non ritornare alla memoria la commedia di Renzi che giurava davanti a Vespa che entro pochi mesi i debiti della PA verso le aziende fornitrici sarebbero stati tutti saldati.

Ovviamente, trattandosi di una promessa di Matteo Renzi, le cose non potevano che andare in senso opposto... e nonostante siano passati quasi 4 anni e Renzi governi ancora, seppur per interposta persona, oggi lo Stato ha debiti verso i propri fornitori per una cifra che oscilla tra i 32 e i 46 miliardi di euro.

Naturalmente, lo Stato si guarda bene dal fornire cifre ufficili al riguardo, pertanto il dato è frutto di un'elaborazione dell’Ufficio studi della CGIA.

"Nel 2016 la Pubblica amministrazione (Pa) italiana ha fatturato ai propri fornitori e alle imprese appaltatrici 160 miliardi di euro. Suddividendo in via puramente teorica i 160 miliardi di euro nell’arco dell’anno e pesandoli su 12 mensilità nel caso delle Pa che pagano a 30 giorni e in 6 mensilità per quelle che invece saldano a 60 giorni (come la sanità), si ottiene la cifra di 19 miliardi di debiti fisiologici che non vengono onorati nell’arco dell’anno perché non sono ancora scaduti i termini di pagamento previsti dalla legge. In realtà, lo stock da onorare è molto superiore.

Secondo l’Istat l’importo - riferito solo ai debiti di parte corrente che l’istituto ha notificato alla Commissione europea per l’anno 2016 - è di 51 miliardi di euro; la Banca d’Italia, invece, stima un importo pari a 65 miliardi di euro. Di conseguenza, l’ammontare dei debiti per i ritardi di pagamento che la Pa dovrebbe saldare oscilla, secondo una nostra stima tra un valore minimo di 32 miliardi (dato dalla differenza tra 51 e 19) e un valore massimo di 46 miliardi (importo risultante dalla differenza tra 65 e 19)."

Ma non vi erano le procedure di Monti, la fatturazione elettronica, le promesse di Renzi ad avere ormai trovato una soluzione al problema? Il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo ci ricorda come funzionano realmente i pagamenti della PA: «I debiti della Pa hanno ormai assunto una dimensione surreale. Da due anni, infatti, le imprese che lavorano per l’Amministrazione pubblica hanno l’obbligo di emettere la fattura elettronica, altrimenti non possono essere liquidate.

Nella fase di ingresso, questo documento informatico transita in una piattaforma controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze che lo smista all’ente o alla struttura pubblica a cui è indirizzata che, a sua volta, verifica se il pagamento è certo, liquido ed esigibile.

Una volta che il destinatario della fattura dà l’ok, il saldo dovrebbe transitare per la piattaforma, consentendo al dicastero dell’economia di monitorare in tempo reale i tempi di pagamento e l’ammontare delle uscite.

Dopo 2 anni, invece, lo Stato non conosce ancora a quanto ammonta complessivamente il debito contratto con i propri fornitori, per il semplice fatto che una buona parte dei committenti pubblici, in particolar modo quelli periferici, effettuano i pagamenti senza transitare per la piattaforma e con scadenze ben oltre quelle stabilite per legge. Una vicenda che ha dell’incredibile.»

E naturalmente, senza che questo abbia alcuna conseguenza per quei committenti pubblici! I mancati pagamenti sono dovuti a svariate ragioni che vanno dalla mancanza di liquidità, ai ritardi intenzionali, all’inefficienza, alle contestazioni.

Ma non bisogna neppure dimenticare che "a queste ragioni ne vanno aggiunte almeno altre due che, tra le altre cose, hanno indotto la Commissione europea a far scattare l’avvio della procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese:

- la richiesta da parte della Pa di ritardare l’emissione degli stati di avanzamento dei lavori o l’invio delle fatture;

- l’istanza al fornitore di accettare, durante la stipula del contratto, tempi di pagamento superiori ai limiti previsti per legge senza l’applicazione degli interessi di mora in caso di ritardo."

Ma oltre al danno, poiché siamo in Italia, va aggiunta anche la beffa che viene spiegata dal segretario CGIA, Mason: «La nostra Pa non solo paga con un ritardo che non ha eguali nel resto d’Europa e quando lo fa non versa più l’Iva al proprio fornitore. Insomma, oltre al danno anche la beffa.

Pertanto, le imprese che lavorano per lo Stato, oltre a subire tempi di pagamento spesso irragionevoli, scontano anche il mancato incasso dell’Iva (tramite il meccanismo dello split payment che impone alle aziende pubbliche di trattenere l’Iva delle fatture ricevute e di versarla direttamente all’erario) che, pur rappresentando una partita di giro, consentiva alle imprese di avere maggiore liquidità per fronteggiare i pagamenti di ogni giorno.

Questa situazione, associandosi alla contrazione degli impieghi bancari nei confronti delle imprese in atto dal 2011, ha peggiorato la tenuta finanziaria di moltissime aziende, soprattutto quelle di piccola dimensione.»

Quindi, mentre in televisione i membri del governo e i parlamentari della maggioranza si affannano a tessere le lodi della bellezza del Paese, dell'efficacia dei loro provvedimenti e di che cosa di terribile potrebbe accadere se loro non fossero al governo, la realtà, come dimostrano i fatti, è molto, molto diversa da ciò che ci viene favoleggiato.