Nella sala Regia, Papa Francesco ha salutato i capi di Stato e di Governo dell'Unione Europea in occasione del 60° anniversario della firma dei trattati di Roma.

Dopo i saluti di rito, Bergoglio, facendo un parallelo con la Bibbia, ha ricordato ai presenti che «non si può comprendere il tempo che viviamo senza il passato, inteso non come un insieme di fatti lontani, ma come la linfa vitale che irrora il presente. Senza tale consapevolezza la realtà perde la sua unità, la storia il suo filo logico e l’umanità smarrisce il senso delle proprie azioni e la direzione del proprio avvenire.»

Richiamando le parole del Ministro degli Esteri belga Spaak pronunciate il 25 marzo 1957, papa Francesco ha sottolineato che il concetto di Unione a cui si stava mirando trattava «del benessere materiale dei nostri popoli, dell’espansione delle nostre economie, del progresso sociale, di possibilità industriali e commerciali totalmente nuove, ma soprattutto di una particolare concezione della vita a misura d’uomo, fraterna e giusta

E da questa considerazione il Papa ha voluto sottolineare che i «padri fondatori ci ricordano che l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare. All’origine dell’idea d’Europa vi è la figura e la responsabilità della persona umana col suo fermento di fraternità evangelica, con la sua volontà di verità e di giustizia acuita da un’esperienza millenaria».

Esperienza millenaria che portò alla scelta di Roma come luogo della firma dei Trattati, poiché a Roma – come ricordò il Ministro degli Affari Esteri olandese Luns – «furono gettate le basi politiche, giuridiche e sociali della nostra civiltà».

Riassumendo, l’uomo è pertanto al centro del progetto europeo così come è stato pensato. Progetto che avrebbe poi dovuto essere alimentato da uno spirito di solidarietà che ne avrebbe fatto anche da collante. Affermava il Primo Ministro lussemburghese Bech che «l'Unione dell'Europa vivrà e avrà successo soltanto se, durante la sua esistenza, resterà fedele allo spirito di solidarietà europea che l’ha creata e se la volontà comune dell’Europa in gestazione è più potente delle volontà nazionali.»

Ed è a qesto spirito che Papa Francesco si è richiamato per contrastare «le spinte centrifughe come pure la tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell’Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie

A questo punto che Bergoglio ha messo gli statisti europei di fronte alle loro responsabilità: «In un mondo che conosceva bene il dramma di muri e divisioni, era ben chiara l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta e la comune volontà di adoperarsi per rimuovere quell’innaturale barriera che dal Mar Baltico all’Adriatico divideva il continente. Tanto si faticò per far cadere quel muro! Eppure oggi si è persa la memoria della fatica. Si è persa pure la consapevolezza del dramma di famiglie separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò. Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i “pericoli” del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari.»

Ed ha pure aggiunto: «Nel vuoto di memoria che contraddistingue i nostri giorni, spesso si dimentica anche un’altra grande conquista frutto della solidarietà sancita il 25 marzo 1957: il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli. Popoli che nel corso dei tempi spesso si sono trovati in campi opposti, gli uni contro gli altri a combattersi, ora, invece, si ritrovano uniti attraverso la ricchezza delle loro peculiarità nazionali. La pace si edifica sempre con il contributo libero e consapevole di ciascuno. Tuttavia, per molti oggi sembra, in qualche modo, un bene scontato e così è facile finire per considerarla superflua. Al contrario, la pace è un bene prezioso ed essenziale, poiché senza di essa non si è in grado di costruire un avvenire per nessuno e si finisce per vivere alla giornata.»

Dopo questa parte dedicata alle sue origini, Bergoglio ha voluto ricordare quanto il cristianesimo sia importante per l'Europa e lo ha fatto richiamando le parole di San Giovanni Paolo II: «L’anima dell’Europa rimane unita, perché, oltre alle sue origini comuni, vive gli identici valori cristiani e umani, come quelli della dignità della persona umana, del profondo sentimento della giustizia e della libertà, della laboriosità, dello spirito di iniziativa, dell’amore alla famiglia, del rispetto della vita, della tolleranza, del desiderio di cooperazione e di pace, che sono note che la caratterizzano.»

«E su queste basi - ha continuato il Papa - nel nostro mondo multiculturale tali valori continueranno a trovare piena cittadinanza se sapranno mantenere il loro nesso vitale con la radice che li ha generati. Nella fecondità di tale nesso sta la possibilità di edificare società autenticamente laiche, scevre da contrapposizioni ideologiche, nelle quali trovano ugualmente posto l’oriundo e l’autoctono, il credente e il non credente.»

Infine, non poteva mancare un richiamo all'attuale crisi, e non solo quella economica, che attraversa l'Europa insieme agli strumenti per affrontarla: «la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro. A chi governa compete discernere le strade della speranza - questo è il vostro compito: discernere le strade della speranza - , identificare i percorsi concreti per far sì che i passi significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un cammino lungo e fruttuoso.»

Una speranza che diventa operativa con l’uomo al centro e nel cuore delle istituzioni, con la solidarietà come antidoto ai moderni populismi, con il contrasto alle false sicurezze, con l'investire nello sviluppo e nella pace, con l'aprirsi al futuro guardando ai giovani.

Bergoglio ha poi concluso il suo intervento con le parole che Joseph Bech pronunciò in Campidoglio: «Ceterum censeo Europam esse ædificandam