Era di qualche giorno fa la notizia che l'Arabia Saudita stava radendo al suolo Al-Awamiyah, un quartiere di Al-Qatif, perché i suoi abitanti erano sciiti ed avevano osato protestare contro il governo di Riyad. Una colpa grave in Arabia Saudita, la protesta contro il governo, tanto che è punita con la morte.

Così, dopo le impiccagioni degli sciiti nel gennaio del 2016 che avevano dato luogo alle proteste nell'area di al-Qatif, altri 14 giovani sciiti sono stati condannati a morte, dopo essere stati arrestati nel 2012, e la sentenza che li riguarda sta per essere eseguita.

Di questi, Mujtaba al Sweikat era minorenne al momento dell'arresto, mentre un altro è stato condannato per aver inviato delle foto delle manifestazioni ed un altro ancora è cieco e sordo! Questo per dare un'idea di ciò che i sauditi definiscono processo equo, in base a quanto espresso in merito da un portavoce del ministero della giustizia saudita.

Per questi motivi, dieci vincitori del premio Nobel per la pace - tra loro Desmond Tutu, Tawakkol Karma, Shirin Abadi e Mairead Maguire – hanno rivolto un appello a re Salman e al principe ereditario Mohammed per fermare l'uccisione dei 14 giovani sciiti, denunciando che i 14 che sono in attesa di essere decapitati sono stati condannati dopo un processo sommario e grazie a confessioni estorte con la tortura.

Ma la monarchia saudita è sunnita e wahabita e, come tale, ritiene i "sudditi" di fede sciita degli apostati, amici dell'Iran e nemici dello Stato, paragonabili a veri e propri terroristi. Pertanto è difficile che la sorte di quei giovani possa cambiare, mentre l'occidente continua a vendere armi all'Arabia Saudita.