Continua ed è arrivato alla seconda settimana, lo sciopero della fame dei detenuti politici palestinesi nelle carceri israeliane.

Nel seguente estratto della lettera inviata da Marwan Barghouthi lo scorso 17 aprile ed indirizzata ai parlamentari di tutto il mondo, le reagioni di tale sciopero.

"I detenuti palestinesi hanno sempre subito ingiustizie e violazioni dei loro diritti. Ma negli ultimi anni le autorità israeliane ci hanno tolto anche i diritti che avevamo ottenuto con precedenti scioperi della fame. Era necessario rispondere all’escalation di misure punitive e inumane nei confronti dei detenuti e dei loro famigliari. Abbiamo deciso questo sciopero della fame perché non avevamo altra scelta. Tutti i palestinesi soffrono e patiscono per ottenere i diritti che sono loro negati. I prigionieri palestinesi non sono diversi.

Abbiamo chiamato questo sciopero della fame “Per la pace e la dignità”. Queste due parole hanno un significato profondo per la nostra nazione, che da 70 anni lotta per ottenere pace e dignità.
Ma sono anche patrimonio universale, valori che fanno parte della storia universale e della lotta contro ogni forma di oppressione e asservimento.

Valori al centro dell’umanità, indispensabili per la pace. Non può esserci pace fra oppressore e oppresso, poiché pace e oppressione si escludono a vicenda. Non può esserci pace tra prigioniero e carceriere. La libertà è la strada che conduce alla pace."

Quali sono le condizioni dei prigionieri palestinesi in Israele? Ce lo ricordano alcuni dati riportati di seguito, forniti dal Ministero Palestinese per gli Affari Esteri.

"Nel corso degli anni, Israele ha tenuto centinaia di migliaia di Palestinesi in carcere, per periodi che vanno da diversi mesi a diversi decenni. Da quando, nel 1967, Israele ha occupato la Cisgiordania con Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza, circa 800.000 Palestinesi sono stati detenuti nelle carceri israeliane.

Questo numero rappresenta il 20% di tutta la popolazione palestinese dei Territori Occupati e addirittura il 40% della popolazione maschile. Ogni famiglia palestinese è stata colpita dal dramma di avere uno o più dei suoi componenti in prigione. I Palestinesi, quindi, sono stati oggetto di uno dei più alti tassi di carcerazione del mondo, e rappresentano l’esempio più impressionante di carcerazione di massa per motivi politici di tutta la storia contemporanea.

Solo a partire dall’inizio del 2017, le autorità israeliane di occupazione hanno arrestato 1.597 Palestinesi, tra cui 46 donne e 311 minori di 18 anni. Nel 2016, Israele ha arrestato 6.440 Palestinesi. Oggi ci sono circa 6.500 prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane.

Dal 1967, più di 200 Palestinesi sono morti nelle prigioni israeliane, o per assassinii extragiudiziali avvenuti sotto tortura o per negligenza medica intenzionale. Queste violazioni sono equivalenti a crimini di guerra e a crimini contro l’umanità, come previsto dalla Statuto di Roma."

Una ricostruzione di parte, potrebbe dire qualcuno. Per dissipare dubbi in proposito, queste le parole di Hagai El-Ad, direttore esecutivo del gruppo israeliano per i diritti umani Bet'Tselem, all'Assemblea delle Nazioni Unite il 16 ottobre 2016: «Ho parlato alle Nazioni Unite contro l’occupazione perché i miei colleghi di B’Tselem ed io, dopo così tanti anni di lavoro, siamo arrivati ad una serie di conclusioni. Eccone una: la situazione non cambierà se il mondo non interviene.

Sospetto che anche il nostro arrogante governo lo sappia, per cui è impegnato a seminare la paura contro un simile intervento. [...] Non ci sono possibilità che la società israeliana, di sua spontanea volontà e senza alcun aiuto, metta fine all’incubo. Troppi meccanismi nascondono la violenza che mettiamo in atto per controllare i palestinesi. [...] Non capisco cosa il governo voglia che facciano i palestinesi.

Abbiamo dominato la loro vita per circa 50 anni, abbiamo fatto a pezzi la loro terra. Noi esercitiamo il potere militare e burocratico con grande successo e stiamo bene con noi stessi e con il mondo. Cosa dovrebbero fare i palestinesi? Se osano fare manifestazioni, è terrorismo di massa. Se chiedono sanzioni, è terrorismo economico. Se usano mezzi legali, è terrorismo giudiziario. Se si rivolgono alle Nazioni Unite, è terrorismo diplomatico. Risulta che qualunque cosa faccia un palestinese, a parte alzarsi la mattina e dire “Grazie, Raiss” - “Grazie, padrone” – è terrorismo. Cosa vuole il governo, una lettera di resa o che i palestinesi spariscano? Non possono sparire.»