Mentre il concetto di salute si confonde sempre di più, e gli esperti si trovano in conflitto d'interessi, emergono scenari allarmanti: la medicina destinata a coloro che sono già in buona forma.

La storia della sindrome dell'"autoproduzione di birra" mette in luce un dilemma intrigante: non sempre un parametro fuori posto significa malattia. La definizione stessa di salute è un labirinto, con l'OMS che oscilla tra il benessere totale e la capacità di adattamento. Chi può davvero dirsi sano in un mondo così sfuggente?

Ma c'è di più dietro a questa definizione. Il concetto di malattia si è trasformato, da un'entità legata al malfunzionamento corporeo a un'opportunità di mercato. L'industria farmaceutica, con il suo potere pervasivo, ha allargato i confini della malattia stessa, rendendo milioni di individui "oggettivamente malati" da un giorno all'altro. Il COVID ha dimostrato quanto sia fragile la linea tra salute e malattia, con individui asintomatici etichettati come portatori di un virus che non li ha mai colpiti.

E dietro queste decisioni, ci sono gli esperti stessi, spesso legati all'industria farmaceutica. Questo "disease mongering", questo creare eccessivamente patologie, è il sogno orgiastico di Big Pharma, come dichiarato anni fa dal CEO di Merck. Ma il sogno diventa incubo per chi si trova a dover combattere contro la medicalizzazione e la mercificazione della salute.

La soluzione chimica viene proposta per problemi che spesso hanno cause diverse, abituando le persone a cercare una pillola anziché affrontare le radici del loro malessere. La salute diventa così una merce da acquisire, e il prezzo da pagare è la nostra libertà stessa, schiava delle regole del mercato.

Queste riflessioni, sebbene non nuove, sono più rilevanti che mai, specialmente di fronte al crescente potere di Big Pharma nel plasmare le politiche sanitarie dei governi. Dai vaccini al green pass, assistiamo a un'erosione della libertà individuale in nome della sicurezza sanitaria.